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Il criterio

Da alcuni decenni si tratta attorno all’ortodossia e all’ortoprassi. Forse i due termini non interessano tutte le persone, però indicano quale deve essere la fede corretta e genuina, e quali i comportamenti corretti, che si relazionino alla fede genuina.

Sulla fede si regolano i comportamenti morali, che devono essere la manifestazione della stessa fede.

Quali i criteri che ci aiutano a giudicare la retta fede e la corretta pratica?

Per la retta fede - de fide catholica, ci dicevano quando eravamo seduti sui banchi della facoltà teologica - è guida la “dottrina cristiana”. Per la prassi morale, i catechismi e la tradizione post-tridentina, ci propongono i dieci comandamenti, quasi siano due fonti. Non per nulla, tra le barzellette udite durante il mio corso di teologia, il professore di “dogmatica” narrava l’incontro in cielo di due docenti di teologia. Di fronte alla scoperta del Paradiso l’insegnante di dogmatica trovava il Paradiso, confrontato con quanto aveva insegnato, “taliter et qualiter” (tale e quale), e quello di teologia morale ammetteva “totaliter aliter” (del tutto diverso).

Lo Spirito Santo, attraverso S. Giacomo, ci avverte che la fede senza le opere è morta.

Oggi si tende, in modo vitale e non astratto, a dire che la nostra fede è Gesù, seguendo le indicazioni di S. Paolo. Quindi il criterio, sul quale misurare la correttezza della nostra fede, è Gesù. Ciò che lui è e che lui fa, è indice sicuro di fede. Per conseguenza, se l’ortoprassi è l’espressione coerente della fede, essa si regola su Gesù, solo su Gesù. Nell’Antico Testamento per dare autorità alle leggi, i profeti dicevano: “Oracolo del Signore”. Poi viene Gesù, Parola di Dio, e dice: “Ma io vi dico!”. “In verità vi dico!”.

GCM 02.09.09