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 Giudicati nell’amore

Mi chiedo spesso una chiarificazione su un atteggiamento, che ho constatato regolarmente negli anni della mia vita. Esso è: quando un uomo del clero o di un Ordine religioso è incaricato di un nuovo impegno (Vescovo, Provinciale, Guardiano o anche semplicemente economo di una comunità di due o tre paia di persone), incentra i suoi discorsi sulla “responsabilità” e non sull’”amore”.

Le responsabilità, dicono, li fanno tremare. Che poi tremino davvero, oppure gongolino per il posto nuovo, è tutto da scoprire. L’onore, che essi stimano di aver raggiunto, e la facoltà di agire senza remore (spesso neppure quelle delle leggi) sono un motivo più di gongolare, che non di tremare.

Però, anche se davvero tremino per la responsabilità, questo non permette che emerga in loro la dimensione dell’amore.

Tutti affermano che, secondo il Vangelo, i due precetti primari sono quelli dell’amor di Dio e dell’amor del prossimo. Però si interrogano quotidianamente sulla responsabilità e non sull’amore.

All’esame di coscienza della sera è più agevole interrogarsi sulle responsabilità che sull’amore. “Che cosa ho fatto, commesso o omesso quest’oggi?”. Non: “Quanto e come ho amato quest’oggi?”

Non riescono a sposare la responsabilità all’amore Non riescono a chiedersi se la loro responsabilità ha servito all’amore. Del resto sono scusabili. Infatti nei seminari e nei noviziati è trascurata completamente l’educazione all’amore, mentre sono ben evidenziate le regole e le leggi.

Controprova: quando un vescovo o un superiore maggiore compiono la “visita canonica”, non s’interessano dell’amore vissuto dai singoli o dalle comunità, ma dell’andamento esterno. Eppure Gesù diceva a Pietro: “Tu mi ami?”.

GCM 05.06.09