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La sintesi vitale

Ritorna frequentemente la discussione, o almeno la domanda, sul rapporto tra scienza e fede. Scienza e fede, piuttosto che scienza e religione, secondo me. Infatti alla sociologia è sottoposta la religione piuttosto che la fede. Si può anche supporre che la religiosità è più nel versante  della fede, che non della religione.

     Tutti ormai riconoscono che il metodo scientifico segue, talvolta accanitamente, dei criteri, che la fede sorpassa.
     Eppure nella pratica quotidiana, io sono un ricercatore scientifico, che crede in Gesù, Dio salvatore.
     Dovrò vivere in contrasto intimo e testardo con me stesso, fino all'esito di abbandonare la scienza per vivere la fede, oppure la fede per essere coerente con la scienza?

     Al contrario dentro di me trovo unità e pace. Scienza e fede seguono metodi, che si trovano in diverse dinamiche della mia persona. Non a diversi livelli, poiché la mente non è un organismo gerarchizzato, ma un vivente funzionale.
     Sono io che scelgo il momento di fede e quello della scienza, secondo le esigenze del mio vivere. Sono io, dinamicamente, l'armonia dell'incontro tra scienza e fede. Proprio come sono io che scelgo la dinamica del mangiare, piuttosto quella del camminare.

     Un incontro personale, che trova difficoltà a trasformarsi in antropologia (neppure in quella teologica), perché ciò che io vivo è "mio", non può sottoporsi a generalizzazioni, né essere esaurito in una speculazione di teoria antropologica.
     Se io mi apro a ogni lato delle mie esperienze, io divento la stessa sintesi delle mie esperienze, pur superandole tutte, e vivendomi padrone delle mie esperienze.

     L'antropologia mi può aiutare a schiarire i miei concetti, perché anch'essa è una scienza. E me ne servo. Ma non è l'antropologia l'unione del mio vissuto. Anche l'antropologia cosiddetta teologica (e anche biblica) si arresta ai confini del mio vissuto.

GCM 25.03.04