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Sacrificio o vita?

Gesù non ha voluto la croce; Gesù ha subito la croce.
In quanto profeta la prevedeva; in quanto uomo la temeva. È indicativo il testo di Marco: in prossimità della morte, entrando nel Getsemani “incominciò a essere terrorizzato e spaventato e disse: l’anima mia è triste fino alla morte” (Mc 14, 33-34).
Tutta la letteratura pia sull’abbraccio di Gesù alla Croce, la lasciamo ai sognatori sadici. Gesù subì la morte, perché come profeta se l’era quasi procurata. Ma non volle la croce, quella che solo dopo la risurrezione acquistò un significato diverso da sacrificio, per essere immersa nell’avventura di Gesù, autoproclamatosi “vita”.

Sarebbe interessante entrare nella mente di quegli educatori, che indicano il sacrificio dei “fioretti” ai bambini, quasi per indicare ai bambini la loro uguaglianza con Gesù, tramite il sacrificio.
Però, proprio il termine “sacrificio” è svelatore. Fare una cosa sacra, nel piccolo, come facevano i sacerdoti antichi nell’uccidere animali e bambini. Il sacro è invenzione dell’uomo davanti al Dio-Potente. Il santo è realizzazione di Dio a favore dell’uomo.

Il sacro necessariamente comporta “sacrificio” (compiere il sacro). Il santo, che è Dio, comporta una relazione con il Padre, che per amore dona e conserva la vita. Il Padre è per la vita; il tiranno produce morte e paura.
Gv 10, 10: Io sono venuto affinché [le pecore] abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza! – Caro, grande Gesù!

19.07.19