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Sperare

Credere, sperare, amare. Nella tradizione cristiana, come chiaramente si vede espresso in Giovanni e in Paolo, è un perno della vita. Un perno così stabile, che fede, speranza e carità sono definite virtù teologali.

Il concetto di virtù, come troviamo scritto nei testi ascetici, non si può attribuire alla Bibbia, se non in senso accomodato. Però, accogliendo nella tradizione cristiana le categorie della cultura greca, per distinguere la vita naturale da quella soprannaturale, si è dovuto correggere il concetto di virtù (opera dell’uomo) specificandole come soprannaturali (opera di Dio).

In realtà la vita umana, semplicemente, si forgia nel credere, nello sperare e nell’amare.

Viviamo perché siamo spinti dalla speranza. Protesi nel domani, o puramente nel confidare di realizzare ciò che ci proponiamo: dal cuocere una bistecca ai ferri, al compiere un intervento chirurgico e al comporre un poema. Si è sempre in attesa, durante un operare nostro o di altri, che ci sia la riuscita.

Non si spera, tuttavia, se non si crede. L’ideale umano, o la resistenza di una zappa, sono mete che vengono proposte alla nostra fantasia, che ci crede. Davvero, come spiega Paolo, la fede, ossia il credere, è il cuore che regge la speranza.

Però lo stimolo a sperare lo dona l’amore. L’amore alla propria vita, alla carriera, al successo, all’amante, al marito alla moglie, ai figli, e soprattutto all’amico.

La dinamica della vita si incerniera sullo sperare, sul credere e sull’amare.

Gesù dà per scontato una facoltà di credere, di sperare e di amare. Dentro questa facoltà egli versa il seme della rivelazione, il seme di sé stesso e della sua parola.

GCM 28.08.05