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Nirvana cristiano

Tutte le religioni sono aperte a Gesù.
     Sto pensando, in questo momento al nirvana: questo rifluire di ogni singola individualità nell'oceano dell'unità brahamanica. Il rifluire nell'origine è il bisogno imprescindibile di tutti.
     Già il sonno quotidiano è un rituffarsi ritmico nel buio incosciente del seno materno. Le nostre piccole estasi di pace e di ammirazione, così ben ricordate da Tagore, sono bisogni dell'anima, aspirazione del cuore.
     Il richiamo dell'origine e della foresta ci risospinge ogni giorno. Il nirvana è il riassunto finale di queste nostre spinte, un riassunto che non è possibile raggiungere nell'al di qua.

La differenza tra nirvana indù e il dopo morte cristiano sta, tra l'altro, nella presa di coscienza.
     L'indù scorre verso un tutto indifferenziato (dimentichiamo per un momento gli influssi dell'Occidente sul neoinduismo), dove l'individuo perde la coscienza di sé e non può godere lui la grande gioia dell'arrivo: la sua coscienza si smarrisce nell'unica coscienza del tutto, che non può riflettere su se stesso, senza il pericolo di provocare quel movimento che, generando la dualità, genera per conseguenza la caduta nella pluralità e, perciò, nella sofferenza dell'esistere nel tempo.

Gesù, risuscitato se stesso dopo morte, senza aver perso l'individualità, ci indica che in realtà c'è un rifluire ("nel seno del Padre"), ma la gioia è possibile, proprio perché la differenza è necessaria, affinché ci possa essere amore. L'amore senza relazione si riduce a egoismo. Affinché l'amore sia "eterno" è necessaria una differenza eterna: Padre, Figlio, Spirito Santo.
     Il rifluire dopo morte, ci immette non nell'indifferenziato, dove ci può essere calma dagli affanni, ma non amore, bensì nell'eterno differenziato, dove la pace dalle sofferenze si carica di una forza d'amore: beatitudine contemplante e amante.

GCM, 06.07.03