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Risurrezione e gloria

Rifletto sugli annunci funebri; uno è triste, l’altro è gioioso.
Triste: ci ha lasciato.
Gioioso: è ritornato dal Padre.
Il primo guarda la terra e piange. Il secondo guarda il cielo e gioisce. Ne segue anche, per i cattolici, una liturgia funebre, o una liturgia di risurrezione.

Ricordo che, anni or sono, una signora che mi ha fatto la grazia di richiedere la mia vicinanza, la quale è potuto essere soltanto telefonica, durante l’ultima malattia, mi aveva pregato di celebrare una liturgia di risurrezione (in bianco!) per il funerale. Io mi prestavo a indossare gli abiti bianchi. Intervenne piuttosto decisamente il parroco del luogo, mi fece indossare il nero, perché così, non le persone, ma le leggi liturgiche lo esigevano, e lui non voleva incorrere nelle infrazioni. Sotto un certo aspetto aveva ragione. Perché qualche secolo prima, un tale che aveva infranto le leggi del sabato, era finito in croce.

Per il credente, i defunti sono beati, perché “finalmente” raggiungono il Dio della pace, loro, e lasciano ancora nei pasticci noi.
Il credente in Gesù vede, nella morte l’entrata nelle braccia del Padre, di quel Padre, che ama davvero e vuole che i suoi siano con lui, dopo aver compiuto la missione affidata da Dio a ciascun vivente. Il vivente è gloria di Dio in cielo, come è gloria di Dio in terra. Come in cielo così in terra.
Così, tra i credenti, si cancella l’aggettivo “povero” (il povero Piero, la povera Anna), quando si nominano i “morti”.

05.07.19