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Beati i miti

Alcuni codici antichi del Vangelo pongono la beatitudine sui miti, subito dopo quella sulla  povertà. Forse la trasposizione è significativa. I miti sono i poveri che non subiscono la povertà (portato di ogni società dove il potere si arroga il dominio), ma sanno come destreggiarsi in essa. I poveri subiscono, i poveri diventati miti, agiscono. I miti non pretendono di non essere poveri, ma sanno trarre dalla stessa povertà i motivi per continuare a camminare.

Gesù vede questo camminare e presagisce la conquista della terra da parte degli stessi miti. Questi sono beati perché “erediteranno la terra”. E’ vero che nella tradizione scritturistica “la terra” è il tempio di Dio, l’ambito della sua presenza tattile, però è sempre una “eredità”.

L’Antico Testamento definisce Mosè  un “mitissimo”, perché avanza senza pretendere, ma seguendo le indicazioni e perfino le controindicazioni di Dio.

Gesù è l’esempio del mite, che eredita la terra. Nel giorno del suo trionfo passeggero nell’entrare a Gerusalemme, l’evangelista nota: “Dite alla figlia di Sion: ecco il tuo re viene a te, mite, seduto su un’asina, e su un puledro, figlio di bestia da soma”.

Proprio perché mite è il povero che non si sfoga sbraitando, ma procede tenace per la propria strada, continuando modestamente a operare, il mite è un uomo forte. La povertà attiva, che utilizza intelligentemente i pochi mezzi a sua disposizione, è, alla fine, la povertà “riuscita”. Il povero che può sorridere, perché si troverà, forse a sua insaputa, a ereditare la terra, quella che Dio dona ai suoi.

GCM 08.11.14