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Due di Gesù  

Non rare persone tentano di privare il cristianesimo di ciò che gli è proprio. Il loro discorso si aggira sempre all’interno dei confronti tra religioni e filosofie, anche senza disturbare gli studi (non superficiali) della fenomenologia comparata delle religioni.

Il loro ragionare si svolge soprattutto sulle molte rassomiglianze “sapienziali”, ossia sui discorsi di un’etica comportamentale. Ovviamente e giustamente essi trovano corrispondenze tra i detti di Gesù e quelli, per esempio, di Buddha o di Epitteto e degli stoici. Nulla da obiettare, anzi da gioire, poiché Gesù ha “assunto” l’umanità non solo di una persona, ma di tutto il bene che è scorso e scorre nell’umanità. Anzi, assumendo in sé Uomo-Dio il bene presente nel mondo lo impersona in Dio stesso.

Eppure è necessario anche notare lo specifico di Gesù. Egli tutto assume nella sua persona e lo ripropone: i detti religiosi e sapienziali pronunciati dagli uomini, assumono altro valore nel “dicente”, che essendo uomo è anche Dio. E poi quando si parla di Dio, solo lui può dirci qualche cosa di sicuro su Dio, perché “chi è nel seno del Padre, lui ce l’ha raccontato”.

Queste due sono le specificità del cristiano: colui che dice (anche se ripete) e ciò che dice su Dio, l’indicibile. Non per nulla i nostri vecchi teologi, quando si parlava di Dio, affermavano: “Le immensità di Dio, noi le diciamo da balbuzienti. L’unica teologia (discorso su Dio) adeguata è la parola di Gesù. Non adeguata all’oggetto infinito, ma adeguata al massimo delle capacità dell’uomo, perfino di quell’uomo, che era Dio.

Gesù è il massimo dell’espressione su Dio.

20.02.2016