Una perversione ci è entrata nelle vene.
Già
da bambini udivamo la voce di nostro padre rivolgersi a noi, soltanto
in occasione di una riprensione, di una sgridata, o di un castigo.
E così ci siamo abituati a fare attenzione più ai difetti nostri e degli altri, e meno ai carismi.
Sembra che non ci accorgiamo più del bene che c’è nel mondo, per essere pronti alla critica negativa.
Una
persona cara si sta muovendo davanti a noi, lavorando e completando
molte operazioni. Se, per caso, questa persona nel lavorare compie un
gesto errato, per es. rompe un bicchiere, noi immediatamente scattiamo:
“E stai attento una buona volta!”. E non un accenno a lodare tutto il
lavoro, forse faticoso, compiuto in antecedenza.
Le cose
scorrevoli le diamo per scontate. Esse sono “belle”, armoniose. Ma noi
non siamo educati a sentirci attratti e commossi dalla bellezza e
dall’armonia. Abbiamo atrofizzato la capacità di vedere il bene e il
bello, e per risvegliare l’organo dell’estetica, la società
consumistica ci presenta bellezze impossibili alla televisione o
concerti speciali negli auditori. Non siamo più capaci di ammirare i
movimenti di una formica in cerca di cibo.
Supersensibili per le
storture, apatici verso l’armonia. E’ la perversione profonda seminata
dall’educazione familiare, chiesastica e civica. Quella che ci spinge a
dire continuamente: “Questo brutto mondo”, e che dilata le nostre paure
e restringe i nostri sentimenti, indirizzandoli verso la sola fase di
vedere, notare e criticare il male e le deficienze. E più critichiamo,
più ci stimiamo intelligenti.
GCM 09.06.06