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Preghiera, piacere di Dio

Una delle azioni profondamente belle della vita è il pregare. Lo spaziare con la mente e con il cuore nelle regioni infinite, l’entrare nel giardino di Dio. L’accorgersi semplice, spesso silenzioso e ammirante, di trovarsi immersi nel Padre e penetrati dalla sua vita.

Il nostro cuore è portato a questo dialogo sublime con Dio. Dialogo intenso, così intenso che diventa silenzio, semplicità, unità.

A turbare e guastare questo dialogo, intervengono le scuole di preghiera, le esigenze dei catechismi, il comando delle leggi e dei rituali. Il silenzio nella preghiera è tacciato di mancanza di idee e di sentimenti. E allora ci impongono norme, formule, banalità. Solo la preghiera proclamata in gruppo, abbisogna di formule condivise (condivise, non pesantemente costrette).

Le formule diventano ripetitive e scadono di intensità.

Gesù, con il Padre nostro, non ha imposto una formula, ma indicato un atteggiamento. Tant’è vero che, quando nell’ultima cena ha pregato a voce alta, non ha ripetuto la formula inventata da lui stesso.

Forse non ci accorgiamo che il nostro pregare rende felice il Padre. Il pregare non è un obbligo, ma un’attrattiva di Dio, per averci vicini. E la nostra vicinanza a lui, gli fa piacere.

Addirittura, quando siamo occupati nelle faccende necessarie al vivere e al nostro sollievo, il Padre, pur di tenerci accanto, mette in noi il suo stesso Spirito, che continua a gridare dentro di noi “Abba, babbo”.

Svestirci delle nostre abitudini di preghiera come obbligo pesante, e ricuperare il nostro e il “Suo” piacere di pregare.

GCM 09.06.06