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Necessità oppure offerta?

Perdita o dono? Egoismo o carità? Tristezza per la mancanza, o gioia per la comunione?

È fatale che quanto abbiamo costruito non resti con noi, non solo con la morte, ma già durante la vita.

L’autore biblico dei sapienziali ci avverte che ha costruito non per sé, ma per gli altri.

Se quanto abbiamo perso, lo consideriamo come dono per gli altri (uomini o Dio), allora si solleva il nostro cuore, e il lutto diventa lode e ringraziamento.

Se poi il Signore, nella sua cara bontà, ci fa vedere che quanto abbiamo costruito serve a beneficio di altri, allora la tristezza si trasmuta in gioia.

Il Padre, quando ha donato il Verbo all’uomo, non si è privato ed è rimasto triste, ma ha goduto per il suo dono.

Il Padre ha donato Gesù, l’Eucarestia è dono, che diventa stimolo al ringraziamento. Donando si vive Dio, uscendo dal nostro bisogno egoistico di “trattenere”.

Donare è vivere concretamente Gesù.

Essere “generosi” non è una mera virtù. È vita di Spirito in noi.

Gesù è il nostro prototipo nel trasformare una disgraziata perdita (e quante perdite la vita ci ammannisce?), in un motivo di dono.

Prossimo alla passione, tormento voluto dall’uomo, Gesù trasforma quel male in un bene: “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso. Ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla” (Gv 10, 18).

Gesù trasforma in azione di libertà, perfino l’essere sottoposto a tormenti e a morte.

28.12.19