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Gesù capostipite

È pacifico che Gesù è il nostro capostipite. Da lui partiamo per aver vita, e vita eterna. Noi quindi siamo la stirpe di Gesù, il popolo santo, i sacerdoti per il nostro Dio.

Augusto ebbe necessità di dipendere da un nobile capostipite. Perciò Virgilio, adulando, creò un certo Enea, nobile di Troia. Non greco, perché i greci snobbavano i primitivi romani, robusti e ancora ignoranti. Ma i troiani sconfitti, per celebrare in sé la loro risurrezione e, quindi, la rivalsa sugli Achei, e sui loro poemi.

Ma noi non abbiamo bisogno di inventare un capostipite per esaltarci in lui. Noi abbiamo un Gesù reale, che viene da Dio, e che in sé porta “tutta la divinità”. In lui viviamo l’immediatezza della risurrezione dopo la morte, e non una risurrezione celebrata artificiosamente, per quanto bella esteticamente.

La narrazione della vita, della morte e della risurrezione del nostro capostipite, sono semplicemente narrate, non inventate. Concretezza, non immaginazione fantasiosa e forzata.

A differenza di altri capostipiti, etnici politici o religiosi, noi continuiamo la stessa vita del capostipite, non servendoci di un ricordo del caro estinto, ma vivendo la sua presenza reale nell’oggi.

Noi impersoniamo il nostro capostipite, perché lui impersona noi. Non soltanto il suo codice genetico ci segue, ma lui stesso è presente. L’Eucarestia è un tranquillo prolungarsi in noi dell’origine della stirpe. Nuova stirpe, ossia la novità, che non solo si oppone all’antico, ma ci preserva anche da novità, più o meno devianti.

Stirpe santa, più che come continuazione, come invece presenza, come vita sempre viva e risorta.

26.03.14.