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Abituarci al Vangelo

Un modo per non accettare la parola di Dio, è quello di infarcirla delle nostre fantasie.

Ho vissuto ieri, udendo altre persone, una serqua di commenti fantastici nell’accostarci alle nozze di Cana.

Mi soffermo su un fatto. Gesù si trovava a Cana, a una festa di nozze.

Ed ecco le fantasie: era per santificare le nozze. Era parente degli sposi. Era tra gli invitati. Svolgeva, con la madre, compiti organizzativi. E via così.

Mi rivolgo al testo: “Fu chiamato”. Dal testo ricavo solo un signifi-cato sicuro: non era lì di sua spontanea scelta, ma solo perché chiamato. Tutte le altre fantasie non mi attirano, perché non cerco spiegazioni, ma vado ai fatti. Io so soltanto che si trovava a Cana, perché chiamato.

Però l’importanza dell’evento salvifico mi viene da due frasi: “Manifestò la sua divinità (docsa)” e “I suoi discepoli credettero nella sua persona”.

Qui intendeva arrivare esplicitamente, non attraverso fantastiche-rie, l’Evangelista. Il significato non sta nel vino (quanti si fermano a con-siderare quale importanza aveva il vino nell’AT o nella storia delle reli-gioni!). Il vino è una “volgare” occasione. Il significato sta nell’azione di Gesù, azione che è “segno” della sua divinità. Così, del resto, quando Gesù risana il paralitico, il significato non sta nel paralitico bloccato da un certo numero di anni, ma in Gesù che risana.

Insomma troppo spesso la curiosità cerca motivi e significati nel vino, nel morto, nel malato, ma non nell’azione “rivelatrice” (segno) di Gesù. Mentre è questa alla quale tende l’evangelista.

07.02.19