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Le fini

Si festeggia la fine d’anno, probabilmente per dimenticare che finisce e non ritorna più: tristezza orpellata.

Di contro, si canta il Te Deum per ricordare la presenza benefica del Padre nell’averci accompagnato ed aiutato durante l’anno.

Sullo sfondo, comunque, si staglia la “fine”.

Per il credente è sempre ricordata una fine, vinta da una “necessaria” risurrezione. Gesù fine e principio.

La storia, secondo la sua prospettiva tecnica, ci presenta fini che sono state tragedie culturali e statali, e sulle ceneri della tragedia la nascita di nuove realtà.

La Grecia divorata da Roma, per dominare culturalmente la sua divoratrice. L’impero romano, invaso da quei barbari, che, grazie anche all’influsso della Chiesa irrorata di Risurrezione, creano – loro barbari! – una nuova civiltà Ora tocca all’Italia depauperata dalla denatalità. È triste e lampante il fenomeno delle giovani donne italiane, che si privano della più bella dote: la capacità di creare vite. Si esaltano nel creare cose morte: eserciti, costruzioni, perfino arte. Tutte opere prive di vita, come riconobbe Michelangelo, che pretendeva vivessero le sue statue.

Gli italiani non rammentano il destino di Sibari: nel pieno tripudio di una festa, annientata dai Romani.

Denatalità tripudiante, povera Italia! Il tuo declino è progettato da coloro che si dicono italiani: “Godi, fanciullo… ma la tua festa, ch’anco tardi a venir, non ti sia grave”.

31.12.19