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Effimero ed eterno


Quando, durante i miei studi di teologia, entrai nel “giardino” del Diritto Canonico fedelmente insegnato in latino (allora quando la lingua universale latina non era ancora soppiantata dall’inglese, para universale assieme con il cinese!), gli insegnanti mi istillarono nella memoria l’intramontabile “distingue tempora et concordabis jura”.
Ed è vero anche per la fede, che è indicata con il qui e non ancora.
Dentro di noi sperimentiamo due spinte: il continuare nel tempo e l’arrestarci. Continuare nel tempo (inesorabile, lo accusavano i latini) e il trovare la pace della meta raggiunta (un affare, un matrimonio, una laurea).
Il precario e lo stabile sono due tensioni antitetiche in noi. Come accordarle, affinché non si danneggino tra loro?
Ebbene sì: distingui i tempi e accorderai le esigenze.
Ora – nel tempo cadenzato dal prima e dal dopo – domina necessariamente la precarietà. Nel seno del Padre è dileguato il prima e il poi, per ergersi meramente il sempre, un sempre definitivo, perché innestato nell’eterno.
A questo eterno è rivolto il nostro bisogno di riposo, perché verso l’eterno tende la nostra vita, che non può perdersi.
È necessario quindi accordare le due tendenze, verso l’effimero e verso l’eterno, così da permeare l’effimero di eterno, grazie alla speranza, e anche da permeare di eterno l’effimero, grazie alla fede.
Fede e speranza penetrano la stessa struttura della nostra vita, perché questa è voluta dall’amore del Padre, che innesta lo Spirito in noi.
01.06.20