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Gratitudine

Non so perché, ma mi avvince una frase appena letta: “l’arte della gratitudine”.

La gratitudine non sorge da un ragionamento soltanto, né dal sentimento pur necessario, essa è un’arte. Richiede quindi un apprendimento, che si serve del sentimento e dell’intelligenza, e li convoglia verso un’espressione. E’ arte che si cura e si conserva, per renderla comunicativa.

Costatiamo nei bambini, che ricevono un balocco: se la madre non li spingesse con il solito: “come si dice?”, quel “grazie” sì e no pronunciato non uscirebbe mai dalla bocca del bambino, che “deve imparare la buona educazione”.
Più tardi il bambino saprà che “si deve fare”, ma questo apprendimento non è arte, perché è solo abitudine, non accompagnata dal sentimento.

L’arte della gratitudine prende l’anima e la fa trasparire dagli occhi, e diventa stretta intensa della mano o schiocco di bacio.

Il problema educativo è “come” si apprende quest’arte, se la si vuol apprendere.

Come ogni altro apprendimento educativo, che tende a diventare abitudine positiva (Habitus bonus, come ci insegnavano a scuola di filosofia), non può restare scisso dal sentimento, che produce la gioia di essere grati.

Ogni abitudine positiva, dovuta all’educazione, deve generare la gioia. La gioia di apprendere, la gioia di esprimersi, la gioia del contatto, la gioia della scoperta. Qualsiasi educazione è incompleta e resta incompleta per tutta la vita, se non è coronata dal piacere, dalla soddisfazione.

L’arte della gratitudine, proprio perché è arte, è esplosione piacevole di un sentimento comunicato. E’ eco del bene ricevuto. A un “grazie” ricevuto, risponde un “grazie” espresso. Gratias agere, che accompagna il gratias habere.       
                                   GCM 12.11.11