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Invasione e accoglienza   

Invasione e accoglienza. È il dilemma in cui gli stati europei si dibattono oggi, nell’affrontare i grossi eventi di profughi o di senza lavoro.

Anche i Romani combatterono le invasioni dei barbari. Ma non salvarono l’impero. Quando l’impero di occidente franò, le uniche organizzazioni non statali rimaste vive furono le parrocchie. Il termine “parrocchia” inizialmente indicò proprio l’accoglienza. L’accoglienza dei concredenti, e, alla fine, l’accoglienza dei presenti, comunque arrivati sul territorio. Evidentemente la parrocchia, allora, non aveva le connotazioni giuridiche di oggi, ma i responsabili corepiscopi erano intenti soprattutto al mantenimento della fede trasmessa.

Oggi tentativi di accoglienza, che evitino il dramma del profugato, si stanno sviluppando anche grazie alla comunità di Sant’Egidio.

Evitare le fiumane di disperati, è un dovere. Anche perché il disperati nutrono una carica di aggressività, che ricorda le devastazioni delle orde barbariche.

Quindi lo studio dell’accoglienza è strada benedetta e percorribile. E noi, poveri e semplici cittadini, che cosa possiamo fare?

Prima di tutto svestirci, se possibile o in quanto possibile, dei nostri egoismi. L’egoismo è duplice: quello di chi respinge e quello di evitare di aggregarsi con altri per affrontare le necessità. Il mio obolo per strada non risolve, ma aggrava la situazione. Il mio accordarmi con altri, spesso più illuminati di me, crea forza. Convincimento, unione nello Spirito, che possono farci scoprire, pur nel nostro piccolo, strade più efficaci, sebbene limitate, per amare il nostro prossimo profugo.

01.03.16