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Libertà di parola

In questi giorni sento agitarsi giornalisti e politici attorno a due uscite del segretario generale dei vescovi italiani, riguardo all’accoglienza degli immigrati, anche accompagnate da un suo cicchetto contro politici dei due fronti opposti. Non entro nell’argomento della contesa estiva, soltanto resto colpito dal rumore che si fa attorno alla libera espressione di un vescovo. I vescovi e il clero non devono entrare nella politica, si dice. Io semplicemente chiedo: preti e vescovi sono nati in Italia, godono del domicilio in Italia, hanno tutti i diritti e i doveri di cittadini italiani; allora possono esprimere liberamente le proprie opinioni, condivisibili o no che esse siano?

A volte mi sembra che un cittadino italiano, il quale entra in seminario perda i diritti di ogni italiano, incluso quello della libertà di parola. Entrare in seminario corrisponderebbe a essere condannati all’esilio.

I motivi che alimentano questa mentalità, sono di vario genere. Tradizione, paura del “potere” spirituale esercitato dal clero, ateismo aperto oppure occulto, e altri, alimentati, per la nostra cara Italia, anche dalla corrente anticlericale, cui si deve in parte l’unificazione di quell’Italia, che a tutt’oggi non è ben unificata tra nord e sud.

Esprimendo liberamente la propria idea qualche ecclesiastico potrebbe cadere in qualche errore o in qualche ridicolaggine, ma sono certo che di tali errori e di tali ridicolaggini, sono ben forniti anche quei politici e quei giornalisti, che pretendono di insegnare ai preti di fare i preti, ai vescovi di fare i vescovi, al papa di fare il papa.

14.08.15