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La grave perdita

Se riflettiamo sulla vita nostra quale partecipazione alla vita di Dio, ci viene da piangere al vedere la grande perdita di molti nostri contemporanei.

Però il triste fenomeno della perdita di Dio, viene da lontano, sebbene nell’ultimo dopoguerra si sia aggravata nell’Occidente. Viviamo di Dio, e molti non lo vogliono e non lo possono ammettere.

I primi sintomi post-medievali della perdita di Dio, vita dell’universo, sono molto manifesti già nel periodo dell’Umanesimo. Allora nell’appropriarsi dei valori dell’età classica, si lasciarono infiltrare anche elementi di incredulità. È vero che si affermò il “Regnum Dei” da affiancarsi al “Regnum hominis”. Si separarono i due regni, anche con l’idea di identificare due metodi diversi. Non si rifiutò il Regno di Dio (chi non ricorda il Cusano?), ma si ammise il Regno di Dio a partire dal ragionamento dell’uomo. Un Dio ammesso nella realtà umana per “gentil concessione” dell’uomo.

Una volta separato Dio dall’uomo, pensò poi l’Illuminismo a porre la ragione e l’esigenza dell’uomo come esigenza suprema del vivere umano. Anche i razionalisti seguirono tale impostazione sebbene alcuni ammettevano la religione come importante fatto umano. (Kant: critica della ragion pratica e della religione), fino a inserire i fatti di religione e di fede, dentro un semplice sistema idealistico (Hegel). Dopo ecco i vari Marx e affini. Dio scomparve come necessaria presenza in ogni uomo, e conseguentemente l’uomo fu esaltato (Nietzsche) o distrutto (Mein Kampf). Sparito Dio (la morte di Dio) è sparito l’uomo, ossia la sua vera struttura e la sua “divina” dignità.

Chi ha vissuto Gesù, sia nel Quattrocento che nel Novecento, ha vissuto e gustato in sé la bellezza di Dio. Ecco la santità!

 30.12.15