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Itineranza


    Uno dei doni di Dio al francescanesimo è l’itineranza francescana. Per valutarne la forza salvifica è opportuno chiedere all’inizio: “Cui prodest?”, ossia; “A chi giova?”.

    Prima di tentare una risposta, credo sia utile osservare che essa è un dono, ma non l’unico dono. S. Francesco infatti parlò non solo di itineranza, ma anche di conventi e di eremi. Addirittura poneva un limite prudenziale per saggiare quei frati che desideravano recarsi nelle missioni.

    Affinché l’itineranza sia utile, la prima domanda, che rispetta la persona (della quale sono rigurgitanti le bocche dei cattolici), è quella se giova alla psicologia e alla “pietà” di chi si muove. Colui che si muove (o è costretto a muoversi) si avvalora, con il movimento, nell’amore di Dio e dei fratelli? Se l’itineranza spegne in lui la voglia di vivere e anche “lo spirito di orazione” (come dice S. Francesco), è aiuto vero alla persona? Se l’aiuta a crescere sì, se lo arresta, anche per breve tempo dal suo crescere psichicamente, allora “no” sarebbe la risposta più ovvia.

    E se l’itineranza molto decantata servisse soltanto alla struttura, ai superiori? Motivi molto seri e gravi potrebbero costringere un superiore a imporre l’itineranza. Ma quando i motivi sono tanto gravi? Non potrebbe il dono dell’itineranza essere utilizzato soltanto per far realizzare un piano, più o meno privato e immaginato, del superiore?

    Anche in questi casi è necessaria una illuminazione non tenue, affinché il superiore non si assuma la responsabilità di opporsi al bene della persona.

    L’itineranza da dono, si può trasformare in un grimaldello.

    03.02.14