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Il coraggio della fuga 


      A moltiplicazione dei pani d’orzo e dei pesciolini, avvenuta, l’evangelista nota che tutti furono ben sazi, tanto che gli avanzi riempirono dodici canestri. Dio è generoso, ma non sprecone. Non è il Dio del mondo opulento occidentale, perché Egli resta sempre il Dio dei poveri, di tutti i poveri di tutti i paesi, anche di quei poveri, che raggiungono l’Occidente per sfamarsi.


      Se noi occidentali, soprattutto quelli di noi che vogliono cacciare i profughi, non sprecassimo cibo e denaro, potremmo sfamare i profughi, e non soltanto quelli.


      Però alla fine della moltiplicazione del pane, i presenti sazi hanno una madornale svista, che impedisce loro di vedere il “segno”, ossia il rimando a Dio. Si imbattono nel Profeta e, a parole, lo riconoscono, e poi si dimenticano che il Profeta è profeta, e pretendono di “abbassarlo” a re. Due ordini distanti e spesso contrapposti, se non addirittura in lotta.

Gesù aveva chiaramente detto ai suoi: i grandi della terra comandano e opprimono, ma tra di voi non sia così; chi vuol essere il primo sia l’ultimo. Dove si proclama l’amore quale vincolo tra le persone, il comando non accestisce.

Il Profeta Gesù, incardinato nel “Regno di Dio” si accorse che per i popolani ebrei il Profeta è visto sotto l’aspetto del potere, e può fare l’unica cosa ovvia: scappa. Se si fosse fermato a contestare, si sarebbe posto sulla linea del potere: il potere di prevalere sulle idee altrui. L’unica via possibile è la fuga, il sottrarsi, quasi per lasciare che le idee degli ammiratori si decantino.

La fuga come collaborazione con la verità, poiché la verità include una dinamica propria. Come il seme, che, immesso nella terra, produce i frutti con energia propria.

Il coraggio di fuggire, per amore di verità.
29.07.15