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Gesù soffre

Sto riflettendo sul dolore provato da Gesù, quando doveva rimproverare i farisei. Gesù non aveva nemici da combattere, ma uomini da salvare. Per lui era la medesima cosa salvare un fariseo o un pubblicano. Però i pubblicani erano disponibili a farsi salvare, i farisei si opponevano a quella salvezza dell’uomo, che è impersonata in Gesù.

Gesù emanava da se stesso una dottrina, che in molti risvolti era affine a quella dei farisei, come, per esempio, l’affermazione della risurrezione. Egli accettava gli inviti a pranzo, rivoltigli dai farisei. Quando Erode decise di imprigionare Gesù, come aveva fatto con Giovanni Battezzatore, furono i farisei ad avvertire Gesù, perché si nascondesse.

Spesso Gesù e i farisei si trovavano vicini. Perciò l’urto di Gesù con i farisei e con i loro scribi, era un urto doloroso.

I suoi “guai” erano piuttosto grida dolenti che minacce distruttive. Quei “guai” riportati dai sinottici, corrispondevano più al nostro “ahimé” che a una minaccia.

Il “guai”, che corrisponde esattamente al latino “vae” e al greco “onaì”, era un accorato richiamo, piuttosto che una minaccia. Fosse stato, come nei profeti antichi, un grido di minaccia, nella bocca di Gesù salvatore degli uomini, era anche un’espressione del proprio fallimento di salvatore.

Il costatare, anche dentro l’ira, la propria impotenza a convincere e a convertire, anche per Gesù era un rospo difficile da inghiottire. Ciò si può misurare dal contrario, ossia dalla gioia di Gesù quando misurava la “beatitudine” dei salvati, cioè di coloro che aderivano a lui.

Noi ci soffermiamo troppo sulle sofferenze fisiche di Gesù sul Calvario, e non molto sulle sue sofferenze morali.

GCM 21.09.05