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- S. Lorenzo nel tragico 1797


Nessun maggior dolore che il ricordarsi del tempo felice nella miseria. Così ci avverte il padre Dante.
Il contrario:
Dovevamo far festa, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita (Lc 15,24).
È bello quindi rievocare la propria morte, quando si è risorti. Sensazione questa che si prova dopo una malattia grave, la quale fiacca corpo e morale. Questa è l’esperienza di Gesù risorto, e, in grado diverso, l’esperienza del cristiano, sepolto nella morte di Gesù e con Lui risuscitato.

È pure l’esperienza della famiglia dei Francescani Conventuali di Vicenza, e del Tempio di S. Lorenzo. Morti dopo l’invasione giacobina, prodotta dalle truppe napoleoniche, e risorti in parte nell’ 800 – attraverso il ricupero al culto della “loro” chiesa -, e più ampiamente nel 1927, grazie al connubio di due volontà: quella della Provincia religiosa dei Frati Minori Conventuali (impersonati dal P. Vittore Chialina), e quella delle autorità civiche di Vicenza (impersonate dal Podestà Franceschini), che inoltre hanno eletto il Tempio come luogo sacro a tutte le manifestazioni civiche e patriottiche, rinnovando anche una tradizione, che vedeva la presenza in S. Lorenzo di istituti civici, quali quelli dell’Accademia Olimpica, per festeggiare in S. Lorenzo l’elezione della nuove cariche.
Perciò mi diletta ricordare quella lontana morte a cavallo tra il 1790 e il 1800, con gli occhi festosi del risorto.

Tre disgrazie colpirono S. Lorenzo durante l’ultima parte del 1700.
8 Aprile 1788 (secondo Bartolomeo Bressan eravamo nel 1786). Cade sulla piazza la sommità della facciata della chiesa. Si parla anche di una specie di “tremuoto”. Il “frontizio” già prima sporgeva dal perpendicolo, e la cronaca nota: “La chiesa non è più quella, ed è una perdita per la città che la contava per una delle belle fabbriche” (Cfr Arnaldo Arnaldi, Cronaca di Vicenza, vol 1, p. 83). Qualche documento ricorda anche il 31 Marzo 1781 come caduta pericolosa della facciata.
Riparata la facciata, ecco la seconda disgrazia, il 26 Giugno 1794. verso le ore 19 un fulmine colpisce la croce del campanile. Non era la prima volta che i fulmini si dilettavano, durante il 1700, a scherzare con il nostro campanile: era già avvenuto nel 1728, quando tre fulmini colpirono il campanile. Questo mi fa ricordare il Prof. R. Cevese, che aspettava la ricostruzione della cuspide dello stesso campanile.
E finalmente il 1797. Festa per l’inizio della bandiera tricolore? Ma anche l’anno del culmine di sofferenza fino al soffocamento del  nostro S. Lorenzo. Una sofferenza, che anche oggi continua a mostrare alcuni suoi effetti; per esempio, basta ricordare le distruzioni delle opere artistiche, la sparizione della biblioteca i cui libri furono esportati in alcune casse, e perfino le presenti difficoltà dei frati per accedere a qualche locale, necessario agli sviluppi del convento, in aggiunta allo spazio ora occupato, quali affittuari, in questo loro antico convento, che gli apparteneva.

Credo utile dividere il mio racconto in tre momenti: 1)- il quadro storico, dentro il quale si perpetrò la distruzione; 2)- le sorti del Tempio; 3)- le sorti dei frati.

1°- IL QUADRO STORICO.
La passione di S. Lorenzo in Vicenza, si inserisce nella passione della città e della diocesi (rammentiamo il vescovo Marco Zaguri), e nella passione e morte della Repubblica di Venezia.
Due le origini più recenti: una ideologica e una bellica.
Le radici ideologiche affondano nella diffusione della mentalità illuministica, declinata secondo la versione giacobina. Questa si allargò oltre la Francia, grazie anche alle sovvenzioni francesi per la propaganda.
A Vicenza le idee rivoluzionarie erano giunte già nel 1790, tramite la note lettere svizzere. Queste idee si diffondevano presso molte persone, borghesi e clericali. Si sa che gli idealismi camminano con le gambe degli uomini, ma si impongono con le armi dei violenti. Vicino a noi, nel nostro tempo, questa dinamica l’abbiamo conosciuta, per esempio, con il marxismo comunista e con il maoismo.
A ben guardare, la tragedia del nostro S. Lorenzo, si inizia proprio nel 1789 e a Parigi. Ricordiamo l’Assemblea Nazionale prima (17.06.1789), poi la proclamazione della Repubblica Francese (21.09.92), la vittoria del generale Napoleone a spese dei controrivoluzionari (05.10.95), la lotta di Napoleone contro la coalizione di Austria, Prussia, Gran Bretagna, Spagna e Piemonte. Napoleone imponeva le idee con le avanzate militari. Egli invase i territori italiani (il primo a soffrirne fu il Piemonte) per combattere dal lato sud l’Impero Austriaco.
Sappiamo che un primo tentativo di coinvolgere la Repubblica Veneta nell’area francese, avvenne quando i francesi immaginarono di formare la quadruplice mediterranea contro l’Austria, progettando di unire Francia, Spagna, Venezia e l’Impero Ottomano. Venezia rifiutò l’offerta, e perciò l’Armée d’Italie nel 1796 invadeva i domini veneziani di terraferma. Napoleone era convinto che “il governo veneto per la sua vecchiaia era debole e aveva bisogno di riforme”, secondo l’espressione del generale Leclerc.
Dove arrivavano le truppe francesi, imbevute delle idee rivoluzionarie giacobine, sorgevano come funghi le municipalità, cosiddette democratiche.
All’inizio del '797, l’anno funesto, Vienna tentò di coinvolgere Venezia nelle guerre contro Napoleone. Ma già nel Febbraio Venezia si era obbligata a vettovagliare le truppe francesi, illudendosi di restare neutrale.
In Marzo la Lombardia veneta fu occupata dai francesi, appoggiati dai gruppi democratici, formatisi nelle singole località.
In Aprile Venezia si oppose apertamente contro i francesi, convogliando le forze nel caposaldo di Verona. Ma arrivarono le Pasque Veronesi (17-25 Aprile).
I veronesi, esasperati dai soprusi dei soldati francesi istallatiti in città, insorsero. Al grido di “Viva S. Marco” cittadini e contadini a migliaia combatterono casa per casa. 2.400 francesi furono arrestati, e i morti da ambo le parti non scarseggiarono.
Proprio il giorno di S. Marco, protettore di Venezia, Verona insorta capitolò, e, come era consuetudine delle truppe francesi, subì requisizioni, fucilazioni, rappresaglie, soprusi, imposizione di tributi, affinché la fraternité e la egalité trionfassero. L’egalité espresse la sua violenza con particolare attenzione ai conventi e ai monasteri, colpevoli senz’altro di non aver impugnato le armi contro l’Austria e di non accettare la liberazione dalle catene religiose, offerta dalle truppe giacobine.
Anche Vicenza quel 25 Aprile, festa di S. Marco, ne fu funestata. A Vicenza, come ogni anno, la città si era preparata con grande sfarzo alla festività, che aveva il cuore nella chiesa di S. Marco. Le notizie arrivate da Verona, la disfatta di Venezia, lasciarono la città costernata.
I francesi, che avevano abbandonato Vicenza il giorno 20 per rafforzare le truppe stanziate e Verona, rientrarono il giorno 27 per instaurare definitivamente il proprio governo, dopo la fuga dei rappresentanti del governo veneto.
Nei diari del cerimoniere vescovile di allora, troviamo scritto:
“Nel giorno 27 Aprile 1797 dopo 393 anni dalla fortunata epoca in cui i nostri maggiori eransi volontariamente dedicati al dominio veneto, Vicenza con sommo dolore dei buoni videsi sottratta per sempre a tale pacifico e dolce governo ed in tal giorno fu formalmente occupata dalle truppe repubblicane francesi ed ebbe luogo il così detto Governo Democratico, origine dei mali infiniti sì rapporto alla civile che alla ecclesiastica tranquillità.
“Quella Vicenza che pochi anni addietro allo scoppiare della Rivoluzione francese aveva ospitato alcuni profughi dalla Francia, ora era costretta a subire l’arrivo dei primi 300 soldati francesi”.
Da notare però che quel dolce governo aveva nel 1788 cacciato i Servi di Santa Maria dallo loro chiesa in foro.
Il 28 Aprile la municipalità provvisoria democratica, scrisse una lettera al Vescovo di Vicenza, Mons. Marco Zaguri, nella quale si protestava rispetto per la Religione. I frutti di questo rispetto si vedranno.


2° IL TEMPIO DI S. LORENZO
Ora restringendo la nostra attenzione al convento di S. Lorenzo, coinvolto nel tornado napoleonico, ricordiamo le pene inflitte ai frati di allora; perché il coraggio dei violenti si sfoga sempre sui più deboli.
NB: Per le note seguenti, mi avvalgo ampiamente di “Archivio Sartori”, vol II/2, pagg. 2303 e ss.).
Nota il Magrini (Storia della chiesa di S. Lorenzo e delle famiglie che vi ebbero sepolcri, ms. 25.10.59, foglio 16, Biblioteca Bertoliana): “A ricettare i feriti francesi e austriaci della guerra del 1796 dal Rappresentante Veneto venne destinato il chiostro e anche la chiesa di S. Lorenzo. La chiesa era parata a festa per la Natività della Vergine. I cantici del Vespertino Salterio furono sostituiti dai lamenti dei feriti”.
Quindi proprio l’8 Settembre del 1796, si inizia la distruzione di S. Lorenzo, dopo il passaggio delle truppe napoleoniche. Convento e chiesa diventarono oggetto delle angherie militari. Non so se valga la pena di notare che l’8 Settembre è il giorno nel quale si celebra la festa della protettrice di Vicenza, e che il 25 Aprile si celebrava la festa del protettore della repubblica veneta.
L’11 Settembre da Bassano arrivano 600 feriti francesi e austriaci, sono collocati in S. Lorenzo. Nei giorni successivi (12, 13, 17, 19) spola di feriti dal fronte verso Verona, con tappa a S. Lorenzo. Altrettanto si avvera in Ottobre: carri di feriti, ora francesi, ora austriaci, sono ricoverati nei chiostri di S. Lorenzo, che alla fine non poterono ospitare tutti. Questo andirivieni doloroso è notato, quasi ossessivamente, nel manoscritto “Cronaca di Vicenza”, di Arnaldo Arnaldi.
Ancora in Settembre (22, 25) e in Ottobre (6, 11, 15, 24, 25) continua a S. Lorenzo la spola dei feriti e dei soldati ora francesi ora austriaci.
Quando i francesi, nell’Ottobre, sconfitti a Carmignano di Brenta, si ritirano, si portano dietro anche i feriti, lasciando a S. Lorenzo 25 moribondi.
All’inizio di Novembre dello stesso anno, 1210 o più feriti francesi sono accolti nel convento. Qualche giorno dopo (14.11) arrivarono circa 300 feriti austriaci. Mentre alcuni feriti sono condotti a Castelfranco, ecco l’arrivo di altri.
Anche il Tempio ormai è usato per essere occupato da feriti, che vengono adagiati sulla paglia. Nei giorni successivi, essendo chiostri e chiesa insufficienti a contenere tutti i feriti, questi si sistemano nell’Oratorio di S. Gerolamo e nel salone dei Rossi.
Alla fine di Novembre, dopo la ritirata degli austriaci, rimangono in S. Lorenzo 200 feriti, 70 dei quali sono francesi.
Il 4 Dicembre nota l’Arnaldi che “abbiamo al presente non più di 120 tra malati e feriti nei chiostri di S. Lorenzo, non più in chiesa né altrove”. In compenso la città è visitata dagli esploratori sia austriaci da Bassano, sia francesi da Legnago e da Mantova, mentre i distaccamenti di appressano a Vicenza.
In Dicembre ancora feriti a S. Lorenzo. Intanto è proibito di festeggiare il Natale. In S. Lorenzo, ridotto a ricettacolo di fieno e di feriti, il Natale, anche se non fosse stato proibito, era comunque impossibile essere celebrato.
E così, tra feriti e morti si giunge al Gennaio del nefasto 1797.
Durante il Gennaio, S. Lorenzo vedrà ancora feriti, sia austriaci che francesi: forse almeno tra i feriti si attua quella certa fraternité ed égalité. E alla fine di Gennaio la Chiesa è chiusa per il fetore emanato dagli ammalati, che certo non avevano a disposizione comodi servizi igienici.
Eppure, dopo la sconfitta degli austriaci a Mantova, ritornarono carri di feriti anche in chiesa, non certo per la recita corale dei vespri, perché la chiesa non era officiata. Adesso i feriti sono francesi. E la serqua di carri, carichi di feriti continuò nel Febbraio e nel Marzo, i quali riducono il tempio in “uno stato deplorevole”, come troviamo scritto dall’Arnaldi il 6 Aprile: “La chiesa di S. Lorenzo da tanti mesi serve da ospitale, ridotta ad uno stato deplorevole”.
E si è giunti così al tragico Aprile, tragico per Verona. per Vicenza e per la Repubblica Veneta.
Il 20 di Aprile i francesi, impegnati a Verona, abbandonano Vicenza. Però un resto di feriti francesi gravi, circa 150, rimane a S. Lorenzo.
Siamo nel periodo delle Pasque Veronesi, quando sembrava che i veneziani e il popolo prevalessero sui francesi, che si erano ritirati anche da Vicenza.
Il I° Maggio Napoleone è a Vicenza.
Il 2 Maggio sono abbattuti i simboli della Repubblica di Venezia.
Il 5 Maggio in Piazza dei Signori si erige l’Albero della Libertà. Tutti i cittadini, clero e frati compresi, devono fregiarsi della coccarda tricolore.
Il 10 Maggio la Municipalità, per essere in armonia con le nuove idee, requisisce le argenterie dei luoghi sacri, chiese e soprattutto monasteri, S. Lorenzo compreso.
Il 12 Maggio il Convento francescano di S. Biagio, che perde anche la sua fornitissima biblioteca, è evacuato dai frati, per essere adibito a ospitare i feriti, che si trovano a S. Lorenzo, poiché – è scritto – si devono trovare in un luogo più sano!
Ottavia Negri Velo, nella sua “Cronaca di Vicenza”, scrive il 15 Maggio del ’97: si dice che si vada amoreggiando dai Francesi tutta l’argenteria delle chiese, già presa dalla Municipalità per pretesto del bisogno, ma in fondo a sacchi senza ricevuta se non con tal calcolo, per non darla ai Francesi. E il 21 dello stesso mese: L’argenteria è poi partita per Milano. E ancora il 26 Maggio: Continuano le argenterie delle chiese a passare a Milano, avendo dato ordine Bonaparte di avere anche il resto, non lasciando alle chiese che un calice per ogni due altari. L’argenteria fusa già a beneficio di alcuni municipalisti egli la lascia in compenso al povero Monte di Pietà.
Quanta arte finita nel crogiuolo!
Perciò l’argenteria sacra, requisita dalla Municipalità a ipotetico beneficio della città, i bravi francesi la requisiscono per i loro alti ideali.
Costantino Mantovani invece, nella Cronaca di Vicenza, annota il 12 Maggio (con una certa soddisfazione): Questa nostra città avendo incontrato esorbitanti spese per le occorrenze alle truppe francesi è venuta in deliberazione questa Municipalità di prevalersi delle Argenterie delle Chiese e Monasterij tutti, e ciò per far gettar e cuniar monete e suplire agli impegni corsi e cursuri più tosto che aggravar il sudito con un nuovo Campatico o Testatico”.
Il 3 Luglio troviamo che a S. Lorenzo si è già stabilizzato il Quartier Generale dei soldati.
19 Agosto: nota il solito diarista che “A S. Lorenzo non vi è più l’Ospitale Francese già trasportato a S. Biagio; ma S. Lorenzo è Quartier di Soldati, e la magnifica Chiesa ridotta a Magazzino di fieno, dove entrano buoi e cavalli”.
Inoltre la Cavallerizza  - eterna fonte di discussione tra cavalieri affittuari e convento locatore – è rovinata dai francesi, forse con la buona intenzione di far terminare le liti giuridiche, ed è destinata alla costruzione dei forni per l’esercito.
Alla fine di Ottobre convento e chiesa di S. Lorenzo sono sfigurati.
È opportuno riprodurre alcune pagine della “Cronaca di Vicenza” di Arnaldo Arnaldi i Tornieri.
“19-XI: Spezzarono le pietre delle sepolture nel chiostro, e nelle chiesa per rubare i manubri di metallo. Dissotterrando i morti per spogliarli come fecero al cadavere di S. E. Beatrice Poiana Erizo nei chiostri di S. Lorenzo per toglierle una collana di granato ed altro”.
“24-XI: [I francesi] che alloggiarono in S. Lorenzo sfigurarono quel gran tempio nella maniera più empia e indegna. Distrussero altari, ruppero e apersero le sepolture per spogliare i cadaveri. Non ve ne stupite, fanno il loro mestiere. Lasciarono i sepolcri aperti coi morti riconoscibili, tra cui il Co. Gia. Giorgio Trissino, S. Ecc. Beatrice Pojana Erizo, ecc.”
Chi entrava per caso nel Tempio sconvolto di S. Lorenzo, alla fine del 1797, notava che la Chiesa era irriconoscibile e perfino la porta era stata bruciata quasi per metà.
Nota ancora l’Arnaldi, in data 21 Dicembre: “Ho posto piede nella chiesa di S. Lorenzo oggi sgombra. Sono arrivato fino alla metà, ma per raccapriccio non ho potuto andar oltre. Altari atterrati, niun vestigio di pulpito che era di marmo, sepolcri aperti e spezzati, statue mutilate ecc. tutti vestigi lasciati dalle loro alte canaglie. Una chiesa che avrà costato tesori si nostri Padri, ridotta a questo orribile stato”.
Il primo Gennaio 1798 i francesi cominciarono a lasciare Vicenza. Intanto il Tempio di S. Lorenzo veniva assegnato come succursale della parrocchia di S. Marcello. Il buon senso dei parrocchiani rifiutò l’assegnazione, anche per non sopportare gli oneri della riattivazione.
Il 19 Gennaio mattino gli ultimi francesi evacuarono la città. Il pomeriggio arrivarono truppe e comandanti austriaci.
La popolazione fu in festa: le campane sonarono a distesa. Il duomo fu illuminato. Il giorno dopo, l’incontro tra il Vescovo Marco Zaguri e le autorità austriache. Si Cantò il Te Deum in duomo. Perfino il vino, che durante l’occupazione francese latitava, miracolosamente fiottò tra la gente. L’albero della libertà fu abbattuto. Le riforme ecclesiastiche abolite per ritornare ai regolamenti del 1° Gennaio 1796.
Allora: tutto ritornato a prima dell’occupazione francese?
Per S. Lorenzo, no.
“La chiusura – nota il Magrini – del Tempio di S. Lorenzo non potea senza dolor sostenersi dai Vicentini, i quali ancor di fronte alle necessità della guerra non rimaneano di adoperarsi perché fosse ridonato al primiero culto”.
La destinazione d’uso del complesso di S. Lorenzo era ormai cambiata. Da Convento e Chiesa, ricettacolo dei feriti prima e a caserma e fienile poi.
Con gli Austriaci quella destinazione non cambiò. Caserma la trovarono e caserma restò. Come resterà caserma sotto il dominio austriaco (1798-1805), sotto il Regno d’Italia napoleonico (1805-1815) sotto il ritorno dell’Austria. Più tardi il chiostro corse perfino il pericolo di essere distrutto dal soldati, perché creduto inutile agli scopi militari.  Solo dopo l’indemaniamento del tempio al comune di Vicenza, si poté riconsacrare alla vita liturgica soltanto la chiesa, grazie agli accordi tra municipio e Confraternita dei Rossi, ciò che, con alterne vicende civili e belliche, continuò anche dopo l’annessione del Veneto all’Italia.
Nel 1927 il tempio e una ristretta parte di quello che restava del grande convento, poterono essere affidate ai Frati Francescani Conventuali, che ritornarono, almeno come affittuari, in casa loro.

3- I FRATI
Nella catastrofe che accompagna quel 1797, i frati come si trovano?
Alcuni cenni per sommi capi.
Già nel 1796  frati furono costretti a lasciare liberi i locali del convento per far spazio ai feriti. La chiesa diventa corsia, fino al Dicembre, quando i feriti sono collocati nei due chiostri. Ma i frati non poterono ufficiare la Chiesa, già deturpata dalla sporcizia dei feriti, anche perché è riusata da raccolta dei feriti.
Nel Maggio del ’97, sembra che ai frati di S. Lorenzo possa essere restituito il Tempio, sgomberato dai feriti, trasportati a S. Biagio, come si è visto. Speranza delusa: sgombra da feriti, chiesa e convento diventano quartiere generale e fienile.
Il 2 Luglio la Municipalità di Vicenza pubblica il decreto fatto nella sessione del 29 Giugno, con il quale sono proibiti le vestizioni e le professioni, e l’adire a eredità.
Il 3 Luglio ‘97 la Confraternita dell’Immacolata concede al P. Luigi Soldà, guardiano di S. Lorenzo, di chiudere l’oratorio per custodirvi i parati e le argenterie, essendo la chiesa occupata dai soldati. Con la speranza che “terminate poi le bellicose vicende, e ridotta la chiesa  in stato primiero di decenza la porta ritornerà come s’atrova di presente, e l’Oratorio nel primiero stato”.
Il 5 di Ottobre del ’97, qualche giorno prima del trattato di Campoformido, i frati che ancora sono in convento, registrano l’ultimo atto dei cosiddetti Consigli Interni (che a noi resta possibile leggere). Le loro firme attestano la presenza di 7 religiosi consiglieri. Però essi sono una parte di tutti i religiosi, perché i frati non consiglieri non sono ricordati.
I francesi entrano anche nei locali riservati ai frati, per rubare la biancheria (forse per farne bende in aiuto ai feriti). Però già il 4 Giugno dello stesso anno, i frati sono spaventati dall’arrivo dei francesi, tant’è vero che qualche frate, terrorizzato, prende il proprio letto e si rifugia presso una casa privata. A questo terrore non è neutrale il ricordo di tutto ciò che i rivoluzionari francesi avevano perpetrato contro i religiosi in Francia, anche contro alcuni confratelli conventuali, dei quali oggi si sta promovendo la dichiarazione di santità.
Tuttavia la maggior parte di essi rimane ancora in convento, purtroppo condividendo la presenza dei francesi, sebbene il 30 Settembre troviamo che, nonostante che ancora alcune stanza sono occupate dai religiosi, il Padre Giuliani – così troviamo nell’Archivio statale di Vicenza – “per nostra fatal disgrazia atteso l’inconvenienze che facevano le truppe francesi quando ritornavano indietro andò ad alloggiare in casa paterna”.
Nota Ottavia Negri Velo, in  data 21 Dicembre ’97: Oggi si ha soppresso i Conventi di Rua, Carmini, S. Lorenzo, S. Silvestro, Aracoeli, S. Francesco. Si dice che i conventi più ricchi rimarranno per i ragiri di Tomasoni, Gandin, Discongi loro famosi procuratori. V’è chi dice  che per i conventi poveri ci sarà più spesa, a mantenerli, che vantaggio.
Ma ecco  il luttuoso 22 Dicembre 1797:
Seguiamo quanto scrive il Magrini, a circa una quarantina di anni dopo l’accaduto:
“A causa delle nuove idee furono spogliate le chiese delle argenterie, furono scacciati i frati dai chiostri.
“Il governo provvisorio democratico ordinò il 22 Dicembre 1797 che i Padri di S. Lorenzo si riducessero con i monaci di S. Felice e la chiesa fosse ceduta alla Parrocchia di S. Marcello per trasportarvi gli uffici.
“Vagavano intanto i Padri senza tetto, senza chiesa, e, ridottisi qua e là in privati asili, a mala pena poteano riunirsi ad alcuno dei loro sacrifizi nell’Oratorio della Concezione”.
Quindi: i frati devono sloggiare dal convento e trasferirsi tra i monaci di S. Felice. A loro non si fa alcun assegno, come invece si fece ad altri religiosi sloggiati. Anzi erano costretti a pagare alcuni ducati, per il bene del popolo.
Questo si notava alla fine del 1797, sebbene il trattato di Campoformido fosse stato siglato il 17 Ottobre precedente.
Il 15 Gennaio dell’anno dopo la stessa Municipalità mentre si sta riparando S. Lorenzo per alloggiare le truppe, ridecide che 5 frati, come pedine di una scacchiera, vadano a S. Corona, altri a S. Margherita, altri ai Padri di Monte Berico, per essere liberi di vendere il convento. Aggiunge lo scrivente: “Non crederò che questi ottimi Religiosi faranno caso degli ultimi aneliti di un Governo spirante” (Arnaldi).
Nonostante che il subentrato Governo Austriaco rimettesse le cose come erano al tempo del governo veneto, per S. Lorenzo non vi era nessuna speranza.
Ancora il 22 Febbraio i malati tedeschi che erano nel Convento dei Padri Scalzi passarono nel Convento di S. Lorenzo. Quindi anche dopo la presa di possesso degli Austriaci, ritroveremo ancora ammalati a S. Lorenzo, per breve tempo, in attesa che si accomodi S. Biagio.
Il 25 febbraio – nota ancora il Magrini -  il convento di S. Lorenzo riducevasi a quartiere delle truppe divise sino a quei di nelle domestiche abitazioni”.
Ed ecco il 4 Aprile 1798.
Riporto quanto Arnaldo Arnaldi i Tornieri, scrive nella Cronaca di Vicenza.
“I Padri Conventuali di S. Lorenzo sono costretti a sloggiare dal loro convento dai tedeschi, che hanno invasa quella grande e magnifica chiesa per Magazzino di fieno ... e destinato il convento col sacello della Fraglia, e colla Cavallerizza vecchia per uso delle truppe, cioè il convento per quartiere, e la Cavallerizza per forni. Così è perduta una chiesa che era la più bella della città, e una religione tanto esemplare ed attiva. E non son questi castighi orrendi a chi li mira con l’occhio della fede? S. Lorenzo, S. Maria Nova, S. Biagio, S. Francesco, S. Silvestro. Tutti questi luoghi sono destinati alle truppe, che per altro sono ancora gran parte nelle case con nostro sommo divertimento e vantaggio”.
E il Magrini scrive:
“Il 4 Aprile i Padri abbandonarono per sempre  le ultime stanze dell’antico loro chiostro; le adiacenze della Cavallerizza si acconciarono ad uso dei forni; la chiesa fu assegnata a magazzino di fieno. Tutte le speranze allora si dileguarono. I Padri chiesero al comune la chiesa di Santa Maria dei Servi in Foro, tolta al culto divino l’anno innanzi per carcerarvi i ribelli di Brescia”.
Tra i conventi e monasteri ricordati dall’Arnaldi, solo S. Lorenzo dopo un secolo e 29 anni, ha potuto riaccogliere gli eredi diretti dei Religiosi di allora.
I Frati  Conventuali dispersi in vari luoghi, chiesero di poter svolgere il loro ministero in città. Continuavano a officiare l’Oratorio dell’Immacolata, con il quale rimasero in continua relazione anche dopo essere approdati ai Servi (come vedremo appresso), tanto che, per esempio si nota la loro presenza anche nei documenti di quell’Oratorio.
Per il 30 Maggio dall’Archivio della Provincia Patavina, rileviamo molti dati che riguardano le trattative perché i frati fossero uniti e potessero ufficiare la chiesa dei Servi. Sarebbe interessante riportare per esteso, e forse lo faremo in seguito, tutto il testo ricchissimo di particolari.
Il P. Commissario della Provincia, P. Perissuti, si reca alla Camera dei Nobili Signori, per perorare la causa di riunire i frati. Allora viene a conoscenza che da due mesi i frati avevano iniziato il “maneggio” (gli approcci) per l’occupazione della chiesa dei Servi. Le trattative durano fino al 9 Giugno. E l’11 Giugno, è stilata la scrittura stabilita e convenuta, con la quale “viene concesso a’ Padri di S. Lorenzo in via di semplice affittanza il fu convento dei Servi, accordando  in pari tempo a’ Padri stessi l’uso dell’annessa chiesa.”
Ora leggiamo quanto troviamo scritto ancora nel nostro Arnaldi:
11 Giugno 1798:
“I Padri di S. Lorenzo, che più non hanno né convento né chiesa e dispersi per la città uffiziano l’Oratorio della Immacolata Concezione, questa mattina hanno ottenuto in affitto dai signori Deputati il convento fu dei Padri Serviti in Piazza con l’uso di quella chiesa. Per conseguenza quella chiesa abbandonata da tanto tempo risorgerà. Chi non è malvagio ne palesa una gran compiacenza”.
Questi religiosi dovettero migrare, lasciando anche la chiesa dei Servi in Agosto 1806, e percorrere altre peripezie, che non è nostra intenzione ricordare in questa sede.
In seguito furono del soppressi, come tutti gli altri religiosi, dalle disposizioni napoleoniche del Regno d’Italia del 1810. Ma il trattare delle loro peripezie, non fa parte di questo mio intervento. Forse, se il Signore vorrà, ne tratteremo in altra sede.
Essi pertanto caddero in quella distruzione programmata e pervicace, voluta dai giacobini francesi, e poi allargata all’Europa da Napoleone e dalla sue truppe. Distruzione di chiese, fraternità, coscienze. Addirittura il Ministro francese del Culto di quei tempi imponeva anche direttive per costringere l’insegnamento della teologia e della catechesi dentro i dettami della rivoluzione.
L’uomo si oppone a Dio. E i religiosi sono le eterne vittime di questa opposizione. Evidentemente Napoleone è morto, e i Frati Minori Conventuali, per grazia di Dio sono risorti, perché Gesù è risorto.

In chiusura sento di dover esprimere riconoscenza al P. Antonio Sartori, francescano conventuale, per essere stato mio insegnante di metodologia per la ricerca e per aver raccolto molte notizie sul Tempio di S. Lorenzo, oggi pubblicate nel voluminoso “Archivio Sartori” (Padova, Biblioteca Antoniana), di cui si è detto.

Ottobre 2010