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Miracolo?

Lo diciamo miracolo, ma è più, o addirittura altro, del miracolo.

Miracolo è semplicemente ciò che desta ammirazione. Il miracolo economico, il miracolo di un grattacielo, di uno scampato pericolo o di un gol della nazionale.

Se ricordiamo gli episodi del Vangelo, dove si narra della guarigione della donna emorragica e della risuscitazione della figlia di Giairo, lì troviamo Gesù che, in qualche maniera, sfata l’idea dell’ammirazione per educarci a considerare non il miracolo, ma lo “sfogarsi della bontà di Dio”.

La donna di nascosto tocca il mantello di Gesù, e si sprigiona da lui un’energia che salva. Gesù tanto pieno di energia misericordiosa di Dio, che è sufficiente un semplice contatto, nemmeno con il suo corpo, ma con la sua veste, per sprigionare la guarigione. La donna non “urla al miracolo”, ma si tiene nascosta, fino a che s’accorge che Gesù la cerca.

Quando Gesù, facendo passare da sé alla figlioletta di Giairo la forza della vita, risuscita la ragazza, ordina la discrezione nel non raccontare l’accaduto, quello che lui preventivamente aveva sminuito: “Non è morta, ma dorme!”

Non miracoli, cioè azioni mirabolanti, ma sfoghi di bontà, al contatto di una fede che crede. Crede e s’accosta e tocca il corpo di Gesù.

L’indicazione è chiara.

Per indicare l’uomo concreto, Gesù dice a Pietro: “Non la carne o il sangue te l’hanno rivelato...”. Carne e sangue: è l’uomo.

“Questo è il mio corpo, questo il mio sangue!” E’ Lui, uomo perpetuato e presente. Lo si può anche oggi toccare con fede, e così si gode la vita. Non una cosa eclatante, degna del circo equestre, ma un intimo incontro, tocco fisico, tra bontà divina e fede.

GCM 02.07.06