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Emmaus

Due discepoli di Gesù, ancora legati alla storia, guardano agli eventi del passato, e su quelli basano la loro disperazione.

Però non guardano tutto il passato e lo svolgimento della sua dinamica (di essa parlano i profeti).

Sono due persone senza avvenire, ripiegate su di sé, senza avvenire proprio perché senza tutto lo spaccato del passato.

Vedono solo ciò che è terribilmente constatabile: il loro Messia morto, gli uccisori, il clamore. Si guardano solamente attorno, non scorgono nulla più in là, e più su.


Il pellegrino, che li accosta, arriva da un'altra regione, là dove la storia è dinamica, poiché superata e superabile. Anzi è semplicemente inquadrabile dentro l'eterno. Gesù, anche da pellegrino, ci inserisce sempre nell'eterno, da dove interpretare la nostra storia e le nostre sofferenze, soprattutto quelle prodotte dai nostri persecutori, dai suoi crocifissori.
Lui doveva patire, per entrare nella gloria.

Emmaus: l'incontro tra due sofferenze, quella penante e cieca dei due, quella gloriosa e aperta alla luce di lui, che viaggia assieme con i due, ma non come i due. Lui segue il loro itinerario, ma in altra maniera.
Quest'altra maniera lui l'insegna. Rileggere il passato, anche remoto, sotto una diversa prospettiva. Così li prepara ad accorgersi dei segni presenti, per intuire l'invisibile.
Preparati a interpretare intuitivamente i segni, finalmente lo ri-conoscono nello spezzare il pane.
Ricordo dell'Ultima Cena?
Improbabile: facevano parte dei dodici? C'è di mezzo una benedizione, uno star a tavola, uno spezzare e offrire il pane. Nulla di straordinario. Ma chi compie quei gesti è un risorto, e dai suoi gesti trapela la risurrezione. Ed è subito fede.

GCM, 23.04.03