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Pregare sorridendo

È ancora in uso di aggrottare la faccia, quando si prega. Il sorriso nel pregare sembra un tocco di bestemmia. Non si sa quanto la preghiera diventi personale e chiaramente colloquiante, se è fatta con il sorriso, con quel sorriso che pare dire a Dio: noi ci comprendiamo!

L’Ave Maria, la diciamo quasi compunti, complice la triste traduzione del chaire greco, in ave. Non mi riesce di immaginare l’angelo Gabriele che tenga il muso ingrugnito, quando saluta Maria con quel “Rallegrati, o piena di gioia, perché il Signore è con te!”. Purtroppo fin da bambini, quando il sorridere era naturale in tutti gli incontri, ci facevano star seri, quando, come Gabriele, anche noi invitavamo Maria a gioire: kaire!

Il gusto di parlare, con il tu!, a nostro Padre era rovinato da un avviso a pregare molto seriamente e in guardia, perché stavamo per toccare una cosa che scotta e brucia. Proprio come prima che venisse Gesù.

E il Padre nostro recitato a occhi bassi e nel timore delle distrazioni, tanto che si doveva badare alle “parole da dire” e non al Padre, al quale si parlava. Ne sortiva un Padre nostro dalla veste raffinata, senza un cuore sotto.

Ci insegnavano a recitare il “Gloria del Padre” con timore, senza ricordarci l’esplosione di Gesù: Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli ti riveli.

La preghiera con il sorriso, ci butta dentro un ambiente soave, dove si scioglie ogni preoccupazione, si respira l’aria di famiglia (di famiglia divina!), si effonde la dolcezza, e il tempo del pregare non interessa più.

28.10.18