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La missione


        Durante la mia infanzia, la mia maestra elementare, che talvolta si incontrava con mia madre in occasione di funzioni religiose nella chiesa di S. Francesco, mostrava il proprio lavoro come una missione civica e religiosa. L’insegnamento come missione oltre che come professione.

        Poi si volle cancellare il motivo della missione, per assolutizzare la prospettiva sindacale dell’insegnante come mero professionista, obbligato a impartire informazioni dietro il corrispettivo di uno stipendio. Addirittura, accennare alla missione dell’insegnante era un delitto di lesa maestà contro il sindacato, espresso sempre in sindacalese. Ed era giusto.
       
        Il lavoro era opera per guadagnare, e non molto modo di elevare la persona alla sua dignità, quella dignità che poi si ripercuoteva sugli altri.
       
        Ora mi sembra opportuno non solo dire che una missione può diventare una professione, ma che ogni professione comporta una missione. Se nella professione scopriamo il senso vocazionale e sociale del professionista, allora scopriamo che nessuna professione è esente dall’essere anche missione.
       
        Infatti ciascuna professione ricopre un rango sociale, ossia è in dinamica connessione con la società, attuando un settore del bene comune. Il primo ministro e il calzolaio, sotto questo aspetto, non differiscono. Ciascuno, nel proprio settore, opera un bene a favore del prossimo.
       
        Siccome l’uomo è creato “socievole” da parte di Dio, quanto avvantaggia la società appoggia l’opera di Dio. L’opera di Dio, in ogni modo, è per la “salvezza” degli uomini. Salvare gli uomini è la missione che il Padre affida, in modo sublime, a suo Figlio, e in modo nobile a ciascuno di noi. Perché non ce n’accorgiamo?
       
        15.01.14