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Dono e discernimento

L’elemosina, come espressione della carità, è un modo di esprimere la nostra fede e la nostra aderenza cordiale all’amore di Dio. Quindi è doveroso donare elemosina a chiunque stende la mano? Anche a chi si procura la droga o la macchina costosa?

Una virtù cristiana è il discernimento. Quel discernimento che ci accompagna anche nel fare la carità (come usa dire), affinché il nostro donare aiuti nel bene e non nel male. Infatti se io do il mio denaro a una persona che si droga, divento correo, ossia connivente nel male.

Una delle componenti del discernimento è il saper distinguere tra povero e accattone. Non sempre (o pochissime volte) l’accattone è povero. Il vocabolario italiano recepisce il vocabolo “accattonaggio” per indicare una professione, che non può essere confusa con la povertà.

Distinguere tra povero e accattone, ci aiuta a evitare la correità con il vizio. Lo conosceva anche S. Vincenzo de’ Paoli.

Il povero può anche essere talvolta accattone. L’accattone può essere qualche volta povero.

Allora rimane sempre il sospetto, e  ciò può ostacolare o frenare la felicità del dono. Donare per tacitare la coscienza è semplicemente egoismo, non carità. Donare per rendere felice o almeno appagata una o più persone è carità.

E’ necessario che il dono abbia la garanzia, almeno probabile, di non cooperare al vizio, ma di sollevare davvero le difficoltà delle persone.

A donare non ci si può sottrarre. Perciò è necessario donare a persone, e meglio ad enti, che garantiscano il buon esito dell’offerta. Gli enti (Missioni, Caritas ecc) sono spesso i garanti che il dono non sia esca del mestiere di accattone.

GCM 20.12.13