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Slancio di Francesco

Francesco scelse la povertà, non come idolo assoluto, chiuso in sé, autoreferente, al modo di Diogene, o al modo di certi movimenti, che si definiscono francescani, soprattutto perché esaltano un certo tipo di povertà. Tra parentesi, l’esaltazione è una ricchezza, perciò esaltare la povertà è essere “ricchi di povertà”.

Francesco scelse la povertà, come disponibilità a “ricevere” tutti, anche i furfanti, e per “scorrere liberamente” nel mondo a favore degli altri. Accoglienza anche agli sgraditi!

Definì veri francescani i protomartiri dell’Ordine (dei poveri). Egli era fra gli altri, non chiuso in sé, oppure in una “stretta clausura”. Altrimenti non si comprende il dettato della Regola, che dà delle indicazioni ai frati, che si recano presso “i Saraceni o altri infedeli”. Non si comprende neppure il suo grido di gioia: “Vi voglio portare tutti in Paradiso”. Quel grido cui seguì il “Perdon d’Assisi”.

Chi pretende di ritornare al Vangelo, forse dimentica che Cristo si è incarnato, come dice il testo, “per noi uomini e per la nostra salvezza”.

Francesco non ha negato la possibilità di riparare in un eremo, ma lui stesso dovette uscire dall’eremo monacale per “diventare” se stesso, quel “lui”, che ripete “il Signore mi ha rivelato”.

Richiamarsi a S. Francesco e al Vangelo richiede prima di tutto di rinunciare all’autoriferirsi.

Il Vangelo è vivere nel presente con le modalità del presente, come Gesù visse nel suo presente, con le modalità, con la lingua, con le strutture mentali e sociali del suo presente, pur correggendone gli errori.

27.04.18