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Le rovine di Cartagine

È inutile nasconderlo con falsa pietà e con conati di obbedienza costretta. Se i frati conventuali sono strappati dolorosamente da S. Lorenzo, di S. Lorenzo resterà il nome, forse qualche funzione, ma non il cuore. E per certe malattie gravi, non esistono trapianti di cuore, perché cuori di ricambio non esistono.
Quanti – e non sono pochi – vicentini dovranno assumere gli atteggiamenti del romano, che dopo aver distrutto Cartagine piangeva sulle rovine di Cartagine. Il pianto non può ricostruire Cartagine, anche perché i primi a non voler guardare l'entità del danno, sono proprio quelle autorità, che hanno provocato (o non hanno impedito) il crollo. Si scuseranno, ma con argomenti pari a quelli accampati dal bambino che ha preso di nascosto la marmellata.
Il piangere su questa Cartagine offesa è un piagnisteo, che aumenta la gravità delle cose. Non sarà piagnisteo, ma consolazione per coloro che si son dati da fare, per impedire il sisma, con le preghiere e con le azioni. Queste persone godranno sempre della consolazione di non essersi accontentate del mero lamento.
Mentre sto scrivendo, la certezza del crollo di S. Lorenzo, è arrivata al 95 per cento. Nel restante 5 per cento, c'è la presenza del miracolo di Dio, e la capacità residua (e non è poca) delle autorità civiche, proprietarie del complesso “laurenziano” (per usare l'aggettivo caro al P. Ludovico Bertazzo, amante di S. Lorenzo).
Il pianto ormai può diventare solo preghiera e augurio che le tristi previsioni non si avverino.
30.06.17