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Una certa volontà di Dio 

Non posso sapere da quando, tra i monaci e tra i frati è stato recepito l’effato: “La volontà del superiore è volontà di Dio!”. Anche quando, come si legge, veniva comandato a un novizio per provare la sua obbedienza (o meglio: la sua cretinaggine),  tra le altre facezie, di piantare le erbe con le radici in su. A parte il fatto che anche questo era un peccato “contro natura” (frase riservata dai moralisti solamente alla sfera genitale), perché sottomettersi a una volontà stolta di un superiore?

Il superiore rappresenta Dio, si pontificava. Questa deificazione dell’autorità sa tanto di regime assolutista e totalitario, entrato prepotentemente nelle alte sfere della Chiesa non solo ai tempi delle signorie, ma molto tempo prima, ossia da quando la casta ecclesiastica divenne potere. Gesù aveva detto di non essere come i potenti dello stato. Sembra che l’imperatore-dio (ricorda il divo Augusto) abbia trovato la nuova sede prima nel Laterano e poi nel Vaticano e in tutti i derivati fino ai parroci, ai guardiani, ai diaconi, ai genitori: una piramide canonizzata.

Dove è finito quel “Uno solo è il Padre; voi siete tutti fratelli”? Questo, Gesù lo disse anche a colui che sarebbe diventato il primo papa, e ai suoi colleghi apostoli.

Così si finì a concettualizzare l’assioma che chi fa la volontà dei superiori fa la volontà di Dio. Invece è molto più frequente la situazione che, colui che è oppresso e frustrato dalle autorità, se in questa sofferenza non odia, ma perdona, fa la volontà di Dio.

12,10,16