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Povertà beata   2

Forse un inizio di conversione e, quindi, di immissione nella beatitudine riservata ai poveri, è a portata quotidiana di tutti.
Accettare la quota di povertà, che è in dotazione di ciascuna persona, è l’entrata nella beatitudine. Lo sfuggire, spesso in modo ossessivo, alla povertà, è rifiutare la beatitudine. Lo aveva ben intuito Francesco d’Assisi: chi si fa povero in questo mondo, è ricco nel Regno dei cieli.

C’è una quota di povertà riservata inesorabilmente a tutti. Di Gesù si legge, che da ricco che era divenne povero. Questa povertà è segnata dalla sua nascita, anzi dal suo concepimento. Eliott: vivendo, e in parte vivendo. La nascita come dono della vita e della precarietà, ossia della povertà di una vita non piena. E la malattia?

Povertà come condizione costitutiva. Introduzione alla beatitudine, quale disposizione basilare, per ricevere la vita eterna.

Poi questa vita povera, introduzione alla beatitudine, è corredata di numerose occasioni di povertà, che, se accolta serenamente, è scaturigine di beatitudine.

Una povertà rilevante è la povertà nel livello intellettivo. Quanta ignoranza! Non solo ignoranza di informazioni, ma soprattutto ignoranza di sapienza. Sì: il non conoscere e il dimenticare molte nozioni e molte capacità pratiche (complice anche l’età avanzata), ma soprattutto la sapienza, nel non saper orientare intelligentemente l’esistere. Questa è povertà di tutti.

E poi povertà di affetto. Affetto non ricevuto e, significativamente, affetto non dato. Povertà di amore: solitudine, incomprensioni, critiche, rifiuti, ingratitudini, invidie, gelosie, ecc. Tutto questo è riserva interminabile di povertà esistenziale.

E non è corretto non ricordare anche la mancanza di mezzi, di denaro…

Eppure, per Gesù, poco denaro, molta beatitudine.

05.01.16