Un fenomeno consueto accade, quando si raduna un gruppo per programmare un’attività. Escono tante belle idee, molto utili in prospettiva. E, fenomeno ancora più consueto, tutti pensano che a realizzarle siano gli altri, o, nel migliore dei casi, che i risultati avvengano per puro miracolo.
L’indicazione più felice esce dalla bocca di chi lancia l’idea, con l’intenzione, tacita o espressa, che la attui il rappresentante ufficiale. Questi, che credeva di poter comandare, si sente bellamente comandato. E guai se no!
C’è però anche un’altra categoria di idee, oltre alle idee che “si devono” attuare: l’idea di ciò che “io posso fare”.
Allora il coordinatore svolge il proprio compito preciso. Ossia vede come coordinare le due o tre idee di chi dice “io posso fare”. L’apporto di idee è bello.
Però la loro fattibilità non dipende dal destino, ma dalla concretezza di chi s’impegna a operare.
C’è anche il gruppo talebano e fascista, dove uno comanda e tutti gli altri (tranne evidentemente lui) eseguono. In questo gruppo uno solo propone, e, volenti o nolenti, gli altri, se parlano, devono solamente illustrare la brillantezza dell’idea, poi rimboccarsi le maniche.
Finalmente, c’è anche chi riesce a dire “Credo che questa sia una cosa da fare, io mi sento di offrire la mia parte, ma solo la mia parte” Ebbene, qualche volta la cosa funziona, e qualche cosa si realizza.
Tra qualche giorno io assisterò a un raduno di programmazione. Già immagino le belle idee! E ancor più, le belle fughe dalle belle idee, per non sentirsi impegnati. Così va la collaborazione.
GCM 07.01.13