Non mugugnare, ma muoversi

Quando soffriamo di una sofferenza causata da chi non ci comprende, diventiamo parte dei poveri, che in nome di Dio, operano per la propria dignità? Quali i sussidi di questa operazione di richiesta del riconoscimento della nostra “dignità cristiana” di poveri, di perseguitati? È volontà di Dio abbassare la testa, oppure opporci, con azioni non offensive di alcuno, per proclamare i diritti della nostra dignità?

Può una legge umana, o una scelta di vita, annullare i nostri diritti fondamentali di persone?

Quando Gesù ricorda la beatitudine dei poveri, degli umili o umiliati, dei sofferenti, tutto ciò impedisce di muoverci, affinché prevalga la giustizia del rispetto, dal momento che per Gesù anche la giustizia rientra nelle beatitudini?

No: Gesù consola mettendo in rapporto la “povertà” con il Regno di Dio. Non per una consolazione sterile e buonista, ma per indicare che proprio la povertà deve diventare l’annuncio del Regno, forza che si muove, proprio perché appartiene al Regno di Dio. Quello che è destinato a crescere, come il seme gettato in terra (forse povertà?) per svilupparsi.

Il Regno di Dio non è cibo o bevanda, ma è giustizia, carità, gioia. Chi appartiene al Regno, non entra in un ricovero, ma in un campo aperto. “Guardate le messi che si sviluppano!”.

Chi è nel Regno, come Gesù, denuncia le ingiustizie e gli errori anche delle autorità: “Guai a voi!”. E, in quanto è possibile, alla denuncia si unisce l’attività. Dove c’è un errore, c’è satana, e Cristo dice di vincere il satana.

 18.10.16