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Risurrezione e restituzione

La nostra morte è anche l’occasione di un atto di giustizia: la restituzione. La vita infatti è un “prestito”, è precaria. Dio ce la affida, affinché la sfruttiamo nel bene. Come la parabole del re, che affida i “suoi” talenti ai suoi servi, che perciò sono messi nella condizione di farli fruttare. La vita quindi è un prestito di Dio, che ci fa partecipare alla “sua” vita.

La vita non è nostra: nessuno se la dà da se stesso. Essa avviene, perché Dio ce la affida, affinché si attui quel “crescete e moltiplicatevi”. Sotto questo aspetto, il suicidio è un furto, è un disporre di ciò che ci è solo prestato. Il suicida, lo sappia o no, è un “impiegato statale” che si appropria dei beni non suoi.
Restituzione, quindi ritorno.

Ritorno al Padre: si legge in numerosi avvisi funebri. Nulla di più vero. Ritorno per ricevere un nuovo dono: l’immortalità. L’immortalità è un nostro destino, ma non un nostro diritto. È il destino regalato a Gesù, a quelli che credono in lui, apertamente o indirettamente.

La teoria del corpo mortale e dell’anima immortale, sarà anche una bella teoria, ma la realtà è proprio questa, tanto cara a una certa filosofia e a una certa teologia?

Nel Vangelo di Luca, quando Gesù accenna al dopo (20, 27-40), si legge: “Quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti”. Il concetto di immortalità dovuta, non appare, per lasciare il posto alla “risurrezione”. Siamo destinati alla risurrezione perché Dio decreta che i giudicato per la morte siamo aperti alla risurrezione, ossia al completamento del dono di Dio.

19.11.16