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Gesù dona sé

Quando Gesù dona, non dona cose, ma dona sempre se stesso: nella parola, nel segno, nell’affetto. Donando se stesso, egli immette nel dono, ovviamente, l’uomo e Dio.

Il miracolo, ciò che il Vangelo designa come “segno”, è un comunicare se stesso alla persona bisognosa. Gesù non è mai assente in ciò che compie.
Perciò i suoi doni sono “segni” della sua persona che si dona, elementi visibili e tangibili della sua presenza.

Se egli tocca il cieco, non è la sua mano solamente che compie un gesto. Nella sua mano scorre tutto il suo essere, il suo amore.

A questa presenza totale e operativa i suoi dovevano essere talmente abituati, che quando presentando il pane egli dice: “questo è il mio corpo (gufa)” gli Apostoli non fanno obiezione e non chiedono spiegazioni, come fanno dopo gli enigmi delle parabole.

Essi sono talmente certi del dono “personale” di Gesù, che subito tra loro e nella Chiesa delle origini si attua “la cena del Signore”.

Nel Vangelo si mette a fuoco questa presenza di Gesù: “Questo è il mio corpo, che è dato a voi; fate questo in mia memoria” (Lc 22, 19). Si tratta, questa volta in modo esplicito, del suo essere se stesso nel proprio dono, che diventa “memoria viva, vivente” tra coloro che accolgono Gesù nel suo corpo, sempre presente.

Paolo, ricordando Gesù presente nella santa cena, rimprovera quelli che lo ricevono indegnamente. Essi non “fanno la comunione” indegnamente, ma offendono lo stesso Gesù presente.   

GCM 30.07.14