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Eucarestia

Conosciamo le due facce dell’Eucarestia: il dono, e il sacrificio.

Il dono è l’intento iniziale di Gesù, che esclama di aver desiderato intensamente (“desiderai con desiderio”: è la brama) di mangiare l’ultima Pasqua con gli Apostoli. Il desiderio di donarsi: “Questo è il mio corpo, dato per voi”. E’ il momento del dono di sé. Il testo evangelico non contiene quell’aggiunta, che è indicata nella formula della Messa, ossia “in sacrificio”. E’ dono puro dono di sé, che deve rimanere per sempre accolto e gustato dai suoi. Il corpo di Cristo fondamentalmente è “dato”.

Noi, questo dono lo teniamo sempre con noi: è la memoria vivente di Gesù, non è la foto esposta nella lapide di una tomba a ricordo del morto. E’ un vivo, donato a noi e che decide di non staccarsi da noi. Dono, puro dono: il pane vivo.

E poi è il sacrifico, il sangue. Gli uomini l’hanno sacrificato per difendere i propri interessi, poiché temevano la bontà di Gesù, contagiosa tra il popolo. Gli uomini lo sacrificano, spinti dal loro egoismo, al quale si associa perfino un collaboratore di Gesù: Giuda.

Gesù assume il loro sacrificare, e lo trasforma in proprio sacrificio, in offerta: il sangue sparso per noi. Anzi: “sparso a beneficio delle moltitudini”. Da vero martire, Gesù non subisce, ma si offre: alla propria morte, Egli liberamente attribuisce un significato positivo, perché, da uomo libero, vuol essere padrone anche del proprio morire. I nemici gli tolgono la vita, Gesù li vince, offrendosi.

Tutto allora diventa dono: la memoria e il sacrificio. Nell’Eucarestia noi gustiamo il dono, quel dono che, per amore nostro, si è fatto presenza. Presenza di un pane vivo.

GCM 10.06.12