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Gesù rimasto male

Gesù pianse su Gerusalemme. Forse non fu un pianto con  lacrime, come gli accadde presso la tomba di Lazzaro, quando proprio lacrimò (dacruo). Qui, più che pianto, è un lamento. Lamento che richiama le “lamentazioni” di Baruc.

Il motivo del lamento forse è la costatazione dell’insuccesso? “Quante volte ho cercato…”. E’ forse l’orgoglio ferito?

No. E’ il bene mancato a Gerusalemme, che non aveva ravvisato quanto Gesù faceva proprio per la salvezza di Gerusalemme. Quella di Gesù è tristezza per il destino catastrofico di Gerusalemme.

Ammettiamo pure la scusante dei Gerosolimitani: essi  non riescono ad accettare la pretesa di quel montanaro di Galilea, di salvare la nobile capitale, ricca e sapiente. Però una reazione simile era presente anche tra i paesani di Galilea: “Che cosa può venire di bene da Nazareth?” diceva Natanaele.

Il rifiuto quindi Gesù se lo sente addosso non perché è un paesano di montagna, ma perché lui è profeta. Il suo lamento è causato dalla costatazione amarissima che un profeta è snobbato. Amarezza di chi vede il risultato tragico, che accompagna il rifiutare un profeta. Tale tragedia Gesù cerca di farla comprendere non attraverso ragionamenti, ma con una descrizione, ben costatabile, della rovina del tempio (religione) e della città (convivenza civile).   

E’ importante notare che per Gesù il rifiuto del profeta non ricade solo sul rifiutante come danno morale e spirituale, ma anche estendendosi nel settore periferico del benessere fisico e sociale. Gesù amareggiato.

Gesù vede nel profeta rifiutato non tanto l’uomo snobbato, quanto piuttosto la rottura con Dio - rottura con  il Creatore - e il danno che essa reca al creato.

GCM 22.11.13