Accogliere un piccolo

Gesù oppone un insegnamento concreto ai suoi apostoli, che litigavano per il primo posto. Anche accanto a Gesù, allora e oggi, si trovano persone che si danno gomitate per avere i posti più alti, celebrando un rito di ambizione.

Gesù prende un bambino, se lo stinge in seno con un abbraccio. L’abbraccio sincero, non egoista e non rituale, conduce all’unità due persone.

Egli poi spiega il valore del suo abbraccio: lui fatto normativo.

“Chi accoglie un bambino vivendo la mia intenzione, accoglie me e chi accoglie me accoglie il Padre”. Il diretto tragitto dal bambino al Padre, quando secondo il cuore di Gesù (“nel mio nome”) noi accogliamo il piccolo. Ogni piccolo: l’ignorante, il disadattato, l’ammalato psichico, il povero, l’emarginato, il marito o la moglie petulanti, il confratello scorbutico, ossia uno degli ultimi, dei piccoli. Soprattutto il bambino.

Tra il piccolo e l’infinito, c’è una relazione diretta. Più s’accoglie il piccolo, più si accoglie Dio.

Tra il piccolo e Dio, se Gesù è presente, si realizza quel “come in cielo così in terra”. L’unione divina, nella quale il Padre accoglie totalmente il Figlio nello stesso abbraccio di Spirito Santo, si prolunga dove avviene un’accoglienza del piccolo. Accoglienza che unifica.

Esiste un’accoglienza singolare del bambino, e quindi un’unione profonda con il Padre. Si tratta dell’accoglienza di una maternità. La madre accoglie in modo strettissimo il bambino. Più strettamente di un abbraccio.

Ora, quell’accoglienza è l’accoglienza di Gesù e del Padre. La donna gravida, che ha accolto il bimbo per volontà di Dio, è piena di Dio e va riguardata con un senso di adorazione.

GCM 23.09.12