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Oh, Padre!


    Sto riflettendo, anche stimolato da Kasper, sul significato di “Padre” nel Cristianesimo e nelle altre forme religiose.

    I nostri nonni romani, avevano il grande Juppiter, la cui seconda parte del termine è, appunto, pater, padre. Ma lui era il padre degli dei (quanti figli!), e lui stesso era figlio di un dio. Ma degli uomini Giove se ne infischiava o se ne serviva per i suoi capricci. Agli uomini riservava i fulmini.
Con Gesù la paternità di Dio verso un uomo è di altro genere. Una vera paternità, una tenera paternità, così tenera che Gesù lo chiamava “babbo” e godeva nel compiere la sua volontà.

    Anche gli Ebrei del tempo di Gesù chiamavano padre Iddio, perché egli aveva liberato il popolo dalla schiavitù, e il popolo lo viveva protettore e santo, cioè protettore dall’alto. Ma Gesù, figlio del Padre, immette in noi la qualità impensabile della sua figliolanza. Padre davvero, non stimato (putativo) soltanto. Fino a che noi non sentiremo, con Gesù, la dolcezza del rapporto con nostro Padre, questa paternità resterà per noi insignificante e solo di facciata.

    Babbo è parola di semplice confidenza rassicurante. Anche per gli anziani, quando in loro si risvegliano le esigenze vitali del bambino. Il loro “rimbambire” non è solo umiliazione, ma è dono, se essi accolgono tale dono, e vivono da “bambini” il rapporto con Dio, il Padre. Il farsi come bambini è, per Gesù, il traguardo ultimo della pietà e della salvezza.

    Certamente la sensibilità di Gesù nel pronunciare il suo “Abba” non può essere riprodotta in noi, perché il cuore dell’Uomo-Dio è unico. Però possiamo sempre offrire il sentimento del cuore di Gesù al Padre, perché lui stesso è in noi, quando noi invochiamo il Padre.

    25.01.14