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Dio in ombra

Cristiani ripiegati su se stessi: lo siamo tutti e, se lo Spirito non interviene, restiamo tali per tutta la vita. È una posizione sterile, sulla quale continuamente si piega la bontà di nostro Padre. Se ci ricordassimo del suo amore, la posizione principierebbe a mutare. Il gioco è sempre questo: ripiegati su di noi oppure elevati in Lui, Padre?

Le nostre preghiere sono un guardarci e, troppo spesso, un chiedere al Padre che ci guardi anche lui. E intanto ci si dimentica che lui sta guardandoci da un’ “eternità”.

Anche quando sentiamo particolarmente bisogno del suo perdono, noi continuiamo a guardare noi, magari affliggendoci per le nostre colpe, e lasciando nell’oscuro la sua bontà. Confessioni sacramentali sono più una rassegna su quelli che reputiamo i nostri peccati (e spesso sono semplici ferite narcisistiche!), che non un lasciarci abbracciare dal Padre misericordioso. Anche il figlio della parabola del “figliol prodigo” (come erroneamente ci hanno insegnato a dire), pensava a come accusarsi, mentre il padre troncò l’accusa per abbracciare il figlio!

Quante “confessioni” sprecate! Usate per ripensare a noi, anziché affidarci a Dio! Usate per raccontarci anche in particolari inutili o pieni di livore verso gli altri (mi fanno arrabbiare!?), mentre Dio attende l’espressione del nostro affetto per lui, in un ritorno che è un abbraccio!

Anche quando stiamo per toccare con mano la bontà di Dio, ci infanghiamo e ci ingrufoliamo su noi stessi!

Il Figlio conosce il Padre e lo fa conoscere a noi! Purtroppo per troppe persone il Padre è un particolare periferico, ricordato a malapena quando siamo invitati a recitare il Credo.

07.10.14