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Ancora Padre

Il Vangelo di Luca ci indica di pregare, iniziando semplicemente così: “Padre”. Non aggiunge neppure l’aggettivo possessivo, che leggiamo in Matteo: “nostro”. Matteo preferisce la sottolineatura comunitaria esplicita del “noi”. In Luca ritorna il senso comunitario nella seconda parte della preghiera: “da’ a noi”, “i nostri debiti”, “perdoniamo”, “abbandonarci”.

Padre è il nome semplice con il quale ci rivolgiamo a Dio. Altre fedi credono di esplicitare la grandezza di Dio con novantanove attributi. Noi, fratelli di Gesù, raccogliamo tutte le funzioni di Dio, con il semplice e intensissimo nome di Padre. Un nome che riapre il cuore alla familiarità dolcissima in Dio. Solamente per noi, che riconosciamo e viviamo Gesù come Figlio del Padre nello Spirito Santo, è possibile confidenzialmente entrare (o prendere coscienza di essere sempre dentro!) in Dio, perché Padre.

Poi entro nella preghiera ufficiale della Chiesa di Gesù, e odo delle stonature, quando mi rivolgo a lui come al Signore, il che non è sbagliato, ma alla mia miopia offusca la qualità del “Padre”.

Tutta la liturgia cattolica sembra preferire scorgere in Dio, il Signore, l’onnipotente, il grande, ecc.. Cose tutte vere e belle quando ci accorgiamo che questo Creatore e Signore è nostro Padre, ma restano fredde e perfino roboanti, se ci dimentichiamo di nostro Padre.

Dolcezza infinita di fronte a un Padre infinito. Teresa del Bambino Gesù confidava di commuoversi quando s’accorgeva che Dio era Padre. Forse tutti noi possiamo commuoverci, sia se abbiamo in noi la sensazione di una paternità buona, sia se proviamo la necessità di recupero di un padre vero.

09.10.14