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Padre adottivo? 2

Nella parola “adoptio” (adozione) è stato riversato il greco “huiothesia”, che indica semplicemente la condizione di figlio: “posto da figlio“. Si riconnette spesso questa condizione con il battesimo, ma il termine non indica una assunzione, bensì una condizione.

Perciò quando il termine, non frequente, viene usato da Paolo, serve a sottolineare la condizione di figli di Dio, che denota il Cristiano. Il termine può indicare solo lateralmente anche l’adozione come la intendiamo noi. Ma non necessariamente essa sola.

Certo che da huiothesia ad adoptio, alla nostra giuridica “adozione”, il cammino non è facile, perché non è univoco.

Se io mi considero un adottato, la mia preghiera riveste un senso di timorosa lontananza dal Padre adottivo; invece se io mi vivo figlio, allora “con fiducia e con libertà” parlo con  nostro Padre. Allora ogni volta che nella liturgia incontro la parola “Padre”, il mio cuore si allarga: perché “mio Padre è Dio“, piuttosto che “Dio è mio Padre”. Ossia nel primo caso io ho contatto con il Padre, che scopro essere Dio! Nel secondo caso, mi incontro con Dio, che… “si degna” di essermi Padre.

Nella preghiera quotidiana, nelle frequenti invocazioni, il mio atteggiamento si rende confidente, non timoroso, a contatto con il Padre, divenuto per me, come per Gesù, “papà”, “babbo”: “Abbà”, appunto.

Mentalità e sensibilità di famiglia, perché così vuole Gesù. Non sostenutezza, spesso impacciata e fredda, davanti al sovrano.

GCM 09.10.13