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Dolcezza senza fine

Durante la messa, la comunità, della quale fa parte il servitore che sta presso l’altare, santifica il pane e il vino, con la spinta e la presenza dello Spirito Santo.

Gesù si fa presente. Il primo moto del cuore verso Gesù è quello di adorarlo. Mentre lo adoriamo, per il dono della sua presenza, lui ci dice: “Mi adori? Va bene. Però ti abbraccio perché sei mio fratello”. Egli si presta a rivivere con noi, per riassaporare la soavità e la bellezza di sentirsi tra fratelli.

Poi, dal momento che nell’Eucarestia il Figlio è sempre unito al Padre e allo Spirito, Gesù e noi abbracciati ci rivolgiamo al Padre, dicendogli: “Noi figli ti adoriamo!”. E il Padre: “Mi adorate? Va bene. Però mi viene da abbracciarvi, perché siete miei figli!” La commozione ci invade, e vien da piangere per la dolcezza dell’abbraccio del Padre. Lo Spirito Santo prima crea la soavità della fratellanza con Gesù, e poi stimola la dolcezza del sentirsi figli di questo Padre.

Sembra quasi di dimenticare l’immensa grandezza di Dio - che pure resta presente nel sottofondo, sicuramente - per sentirci immersi nel calore familiare.
Allora tutto cambia, si illumina, si riscalda, si trasforma in gaudio, in esperienza di Dio. E’ Dio, eppure Trinità, famiglia di figli e di Padre, favorita dalla funzione materna unificatrice dello Spirito Santo.

Dopo la santificazione del pane e del vino, cambia anche il tono, di fede ed emotivo, della preghiera. Essa è gioia di presenza. Il Padre Nostro acquista il suo vero sapore. La comunione è, prima, esperienza di fraternità (quale fraternità!) e poi esperienza di figliolanza: unità di famiglia sullo stesso piano.

GCM 15.01.13