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Babbo

Paolo ce lo dice in tutti i toni, che noi siamo figli di Dio. Semplicemente tali, per l’opera di Gesù e dello Spirito Santo.

Invece le preghiere, tranne alcune, ci indicano di chiamare Dio “Signore”. E’ vero che, quando fu scritto il Nuovo Testamento, intriso di mentalità ebraica, il lemma “Signore” (kirios) era sinonimo di Dio. Purtroppo nel passaggio dall’ebraico (‘adon, ‘adonai) che esprimeva una totale padronanza di Dio sul popolo, si è giunti prima al “kirios” greco, poi al “dominus” latino, per finire al “signore” italiano. Però ognuna di queste lingue sente il termine in maniera diversa.

Il kirios greco è una contrapposizione allo schiavo (dùlos). Il dominus propende a designare il padrone della casa, della domus. Il signore latino indica l’anzianità (senior), quasi la veneranda e rispettata posizione dell’anziano.

In italiano il termine “signore” accoglie significati diversi: ricco, dai modi raffinati, avanti con gli anni, nobile, ecc. Insomma si tratta di una persona che sta “sopra” per censo, per autorevolezza, per soldi, per rispetto che gli è tributato.

Il termine è entrato nella Bibbia e nella liturgia, in ogni settore. Eppure un certo caro Gesù, per essere lui a contatto e per porre noi a contatto con Dio, ha introdotto un termine e una realtà inediti, chiamare Dio: “Padre”.

In tempi di regni e di signorie gli stessi figli dei re si rivolgevano al loro genitore con “Signor padre”. Gesù ha superato ogni convenzione, ed ha chiamato Dio con l’appellativo di “babbo”. La familiarità è distintivo di ognuno che “si sente figlio” e non vaga usando un polivalente “Signore” .

E’ bello mantenere continuo contatto con l’affettuoso “babbo”, o almeno “padre”.

GCM 02.01.13