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Il nostro povero orgoglio

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo. Addirittura una volta ci hanno insegnato a dire: “Sia gloria al padre…”. E ancora oggi odo dire a qualche saputello che la traduzione, di cui oggi facciamo uso, è esatta perché il latino adopera il caso dativo. E così si perde il sapore di quella magnifica preghiera. Anche il bambino sa che il dativo unito al verbo essere (espresso o sottinteso) indica ciò che si possiede. Perciò il vero senso della preghiera è un’affermazione precisa della fede cristiana: il Padre, il Figlio, lo Spirito “posseggono” la stessa gloria. Gloria, che è sinonimo di divinità.

Allora ecco manifestarsi la nostra gioia e la nostra ammirazione. La gloria di Dio (del nostro Dio di Gesù Cristo) è il suo essere Trinità, questa cosa altissima e indicibile che è la Trinità, misteriosa e sublime. Sì la gloria intima del Dio unico e vero, è quella di essere Trinità.

Molti di noi ritengono che il “dogma” della Trinità lo si deve prima ammettere e poi lasciarlo là. Dal dogma (umile indicazione di una realtà immensa) alla Persona, alla vita.

Pochi di noi sanno che, tra le molte cose che si dicono di Dio (quando vi si crede) la più consona a Dio, è quella che Lui ci rivela di sé: egli è Amore, perché è Trinità.

La nostra riconoscenza a Dio, impossibilitata a esser espressa quanto Dio merita, è quella di averci manifestato la sua indicibile interiorità, attraverso il Profeta Gesù. Gli Ebrei dichiaravano che Gesù era un grande profeta. Maometto (o chi per lui) afferma nel Corano che Gesù è profeta. Però questi e quelli gli voltano le spalle, quando lui esprime la sua uguaglianza e la sua unità con il Padre e con lo Spirito Santo. Noi ci lasciamo elevare da Dio al suo interno, quando siamo convinti che lui è trino. Noi cristiani soli!

03.02.16