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L'altro, nostra preghiera

Abituarci all'altro per abituarci all'Altro. L'altro, come strada e prodromo verso l'Altro assoluto. Chi non ama il prossimo che vede, si preclude la possibilità di amare quel “Prossimo” che non si vede.

Come aggiustiamo, almeno lentamente, le relazioni con il “prossimo”, così lentamente mettiamo a regime la nostra relazione con Dio. È chiamata in gioco perentoriamente, la nostra capacità di relazionarci con “l'aldifuori di noi”. Siamo chiamati a revisionare il nostro egocentrismo, per purificare il nostro rapporto con Dio.

L'esser chiusi in noi guasta la preghiera che, nel cristianesimo, è decisamente dialogo con Dio. Genera tristezza quel tipo di preghiera che si attua nel rientrare soltanto nel centro di noi, anche quando si fregia di meditazione trascendentale.

La preghiera è relazionarci all'Altro, a Dio, per quello che lui è, non per quello che noi immaginiamo di lui. La preghiera rivolta alla nostra “immagine” di Dio, è solipsismo malato. È un triste ripiegamento in noi stessi... che non manca di affinità con l'ateismo.

Per evitare la ricaduta su di noi e sulle nostre fantasie, anche teologicamente sublimi, di Dio, si preoccupa la bontà di Dio stesso. Egli si svela a noi. Allora l'Altro, si presenta e si offre a noi per ciò che Egli è. La Rivelazione corregge non solo le idee su Dio, ma l'indirizzo del nostro pregare. Solo così il nostro pregare l'Altro,si illumina della stessa luce dell'Altro. Il “tu” si trasfonde nell'”io” del singolo, nel “noi” della chiesa.

Uno degli insegnamenti della luminosa trasformazione di Gesù sul Tabor, è anche un indirizzo per la nostra preghiera.

21.05.15