L'altro e l'Altro L'altro da me è ogni uomo. Altro, con diverse dotazioni, diversa storia, diverso modo di concepire la convivenza, può aiutarmi e a riconoscermi e a elevarmi?
L'altro da me mi spaventa, e induce in me sentimenti di autodifesa, di intolleranza, di ostilità. Più sono succubo della mia paura, più l'altro è minaccioso. La mia paura è generata dalla mia autopercezione di fragilità. L'altro mi induce alla fuga. Fuggire dal conflitto, dalla lotta, dal sesso “opposto” al mio, dall'imprevisto, dal mistero.
Eppure in me non è assopita la curiosità del sapere che cosa c'è nell'altro, oltre a superare quanto la mia fantasia proietta sull'altro. L'altro mi attira, anche quando mi spaventa. Mi attira e mi spaventa proprio perché è altro.
Questa ambivalenza è attenuata, quando percepisco nell'altro o una congenialità, o una complementarietà. Ossia quando percepisco e sento l'altro/a non come monade chiusa, ma come capace di comunicabilità. Si percepisce nell'altro se non una porta spalancata, almeno una feritoia indifesa. È proprio sulla debolezza dell'altro che tende la mia debolezza: o per condividere, o per dominare, o per essere dominato.
E se questo altro è l'Altro? Potente per aiutarmi o per minacciarmi, debole per condividere. Potente come onnipotente, debole nella Croce di Gesù.
Fuggirlo e temerlo per paura? Accostarlo per sottomettermi a lui? Amarlo nel sentirlo congeniale, debole, amante e richiedente amore?
La religione, basata su quel “timor fecit deos”, lo teme e lo combatte fino all'illusione dell'ateismo; la fede basata sull'amore di Dio, si affida a lui, proprio perché Altro.
21.05.15
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