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La “sua” fede  

Nel libro degli Atti (storia) dei primi Apostoli, leggiamo un discorso di Pietro, quando, dopo la guarigione dello storpio davanti alla porta Bella del Tempio di Gerusalemme, cercò di spiegare quanto era avvenuto “nel nome di Cristo”.

Tra le molte frasi, mi colpiscono due.

La prima è: “La guarigione non la si deve alla nostra [di Pietro e di Giovanni] religiosità o alla nostra forza”.

La guarigione non è dovuta alla forza della nostra religiosità. Notiamo l’endiadi, e soprattutto notiamo la “pietà” (eusebeia, in greco). Purtroppo è abbastanza corrente il concetto che la “preghiera fervente” crea i miracoli. Quante persone si raccomandano alle preghiere dei preti, perché “sono più vicini a Dio” (il che è tutto da dimostrare!). È un pensare che dal pregare dell’uomo (sia egli anche P. Pio) dipende la forza miracolosa di una certa “aria di positività”. E Dio dove sta?

La seconda frase si allaccia alla prima, là dove si parla non della nostra fede, ma della “fede che viene da lui”. Non si parla di una fede che viene da noi. Così saltano gli schemi che attribuiscono all’uomo la “vera” capacità di credere.

Per Pietro la “nostra fede” per essere autentica deve “venire da lui”. È secondario il nostro credere, è forse inutile. Tanto tutto viene da lui. Si sa che durante la storia della chiesa, si ebbe il movimento dei “quietisti”: un uomo passivo, davanti a un Dio con le maniche ripiegate per essere sempre attivo.

In realtà la mia fede è sollecitata, sostenuta, valorizzata sempre dallo Spirito Santo, stabilito in noi. Quando proviamo la gioia di fidarci e di affidarci al Padre, è lo Spirito che “ci agisce”, come dice S. Paolo.

 09.04.15